L’ex magistrato invita Gratteri a un confronto pubblico
È dalla sua lunga esperienza nelle aule giudiziarie che Antonio Di Pietro fa discendere la scelta di appoggiare il “sì” alla separazione delle carriere, tema al centro dell’incontro organizzato a Napoli dal Comitato “Sì Separa” della Fondazione Einaudi, dedicato al confronto con i cittadini sui contenuti della riforma Nordio.
Per spiegare la propria adesione al “sì”, Di Pietro richiama il percorso che lo ha portato a conoscere la giustizia da più angolazioni. «È una scelta logica», ha affermato, precisando che nasce dalla «mia esperienza professionale». Un’esperienza che, come ha ricordato, lo ha visto coinvolto in ruoli diversi: «Come magistrato, come poliziotto, ma anche come testimone, parte lesa, parte civile, indagato, imputato».
La distinzione tra chi accusa e chi giudica
Da questo vissuto deriva, secondo Di Pietro, una riflessione sulla percezione di imparzialità all’interno delle aule di giustizia. «Ci si sente più tranquilli quando si entra dentro un’aula di giustizia e si sa che un terzo non viene dallo stesso concorso, non fa lo stesso percorso, non viene giudicato disciplinarmente, non viene scelto nelle posizioni apicali da chi poi sta dall’altra parte del tavolo e fa il pubblico ministero e viceversa», ha spiegato.
È su questo piano che, a suo giudizio, la riforma interviene in modo diretto. «Il buon senso comune è far capire che questa riforma dà visibilmente una terzietà del giudice che altrimenti per chi entra dentro un’aula di giustizia non la sente, non la vive sulle proprie spalle».
Tangentopoli e il ruolo del pubblico ministero
Rispondendo alle domande dei giornalisti, Di Pietro ha poi affrontato il tema di Tangentopoli, escludendo che la separazione delle carriere avrebbe inciso su quella fase storica. «Non cambierebbe assolutamente niente», ha dichiarato. «Sia adesso, che prima e dopo, questa riforma non tocca assolutamente il ruolo e il potere del pubblico ministero».
A sostegno di questa affermazione, l’ex magistrato ha richiamato esplicitamente i principi costituzionali. «La riforma non tocca l’articolo 104 della Costituzione», ha sottolineato, ricordando che autonomia e indipendenza restano garantite sia per il giudice sia per il pubblico ministero. «Il pubblico ministero non solo rimane autonomo e indipendente, ma gli rimane addosso per Costituzione l’obbligatorietà dell’azione penale». Un principio che, secondo Di Pietro, continua a valere senza distinzioni. «Per cui può indagare sia il povero cristo sia il presidente del Consiglio».
Di Pietro ha poi respinto le critiche secondo cui la riforma ridurrebbe il potere delle procure o le sottoporrebbe all’esecutivo. «C’è un articolo della Costituzione che dice che il pubblico ministero dispone della polizia giudiziaria, adesso e anche dopo», ha affermato.
Critiche infondate
Per questo motivo, le letture critiche vengono giudicate infondate. «Non solo dicono il falso dal punto di vista materiale, ma vi è un’eterogenesi dei fini», ha spiegato, aggiungendo che «dopo questa riforma il pubblico ministero sarà ancora più indipendente, ancora più autonomo, avrà ancora più determinazione e risponderà soltanto alla legge».
In chiusura, Di Pietro ha auspicato un dibattito pubblico, chiamando direttamente in causa il procuratore Nicola Gratteri. «Sono convinto che un confronto sereno tra me e Gratteri possa aiutare i cittadini a scegliere oggettivamente», ha detto aggiungendo «Verso Gratteri ho stima professionale, stima personale. Lo considero una persona che apprezzo molto e lo invito a confrontarsi con me sul tema del referendum in tutti i suoi aspetti, vale a dire la separazione delle carriere, il sorteggio, l’Alta Corte disciplinare».




