Il rischio è di combattere ideologie autoritarie adottandone i metodi
La polemica sulla partecipazione della casa editrice «Passaggio al Bosco» all’edizione 2025 di «Più Libri Più Liberi» non riguarda solo un editore, né soltanto la discutibilità o meno dei contenuti del suo catalogo. Riguarda qualcosa di più profondo e delicato: chi decide cosa possiamo leggere. «Passaggio al Bosco», editore considerato vicino all’area neofascista e dell’estrema destra, è stato segnalato come espositore alla fiera romana della piccola e media editoria. Nel suo catalogo compaiono volumi dedicati a figure storiche del nazifascismo e del neofascismo europeo, spesso presentate in chiave celebrativa.
La lettera aperta all’Associazione Italiana Editori
Per questo motivo oltre 80 tra autori, intellettuali ed editori hanno firmato una lettera aperta all’Associazione Italiana Editori (AIE), organizzatrice della fiera, chiedendo spiegazioni e mettendo in discussione l’opportunità della presenza di questo editore in un evento che si richiama a valori democratici. La sostanza dell’appello è chiara: non offrire spazio pubblico a chi pubblica testi ritenuti apologetici del fascismo. Secondo i firmatari, non si tratterebbe di opere di ricerca storica, ma di strumenti di propaganda ideologica, incompatibili con una manifestazione culturale.Una posizione comprensibile sul piano morale. Molto meno sul piano dei principi.
Un criterio ideologico
Chiedere a una fiera di escludere un editore per la natura dei suoi contenuti significa introdurre un criterio di selezione ideologica. E un criterio ideologico, per definizione, è arbitrario. Chi stabilisce dove passa il confine tra «documentazione» e «propaganda»? Chi decide quali idee sono troppo pericolose per essere esposte? Un comitato? Una maggioranza culturale? La pressione mediatica del momento?
Una fiera del libro non dovrebbe trasformarsi in una dogana delle idee. L’Associazione Italiana Editori ha ribadito un principio elementare ma spesso dimenticato: «Più Libri Più Liberi» è uno spazio aperto a tutti gli editori che rispettano il regolamento e le leggi vigenti. Nessuna selezione sulla base della linea politica o culturale. La valutazione dei contenuti spetta ai lettori. Eventuali violazioni, alla magistratura. Una posizione che difende la libertà di pubblicazione anche quando è scomoda. Il rischio, oggi evidente, è quello di combattere ideologie autoritarie adottandone i metodi.
Escludere, silenziare, impedire la circolazione di libri non rafforza la democrazia: la indebolisce. La storia insegna che le idee non si sconfiggono con i divieti, ma con il confronto, la critica, lo smontaggio pubblico. La censura, anche quando nasce con le migliori intenzioni, crea solo precedenti pericolosi.Alla base di questa polemica c’è un presupposto implicito: il lettore non sarebbe in grado di distinguere da solo tra un libro e un’operazione ideologica. Un’idea paternalista, che trasforma il cittadino in un soggetto da proteggere più che da responsabilizzare. Una democrazia adulta non sceglie al posto dei suoi cittadini.
Il perimetro del consenso culturale dominante
Offre strumenti critici, non liste di libri ammessi o proibiti. Oggi il bersaglio è un editore di estrema destra. Domani potrebbe essere chiunque esca dal perimetro del consenso culturale dominante. La vera domanda non è se quei libri piacciano o meno. La vera domanda è se vogliamo vivere in una società in cui qualcuno decide cosa è legittimo leggere. Perché quando si inizia a limitare la libertà editoriale «a fin di bene», il confine tra tutela e censura diventa pericolosamente sottile. E, una volta superato, tornare indietro è sempre più difficile.




