Ormai in Italia, più che la Costituzione, sembra contare l’”immunità antigoverno”

Contro il governo si può dire e fare tutto, anche la rivolta sociale

«Così è, se vi pare». Purtroppo, tocca rassegnarsi. Da quando Giorgia Meloni e il centrodestra sono arrivati a Palazzo Chigi – la separazione delle carriere era ancora a livello di «pour parler» – i magistrati sono scesi sul piede di guerra contro il governo e la riforma della Giustizia, cominciando a scioperare e a disapplicare leggi (possibilità, questa, che la Costituzione non prevede, se non dopo avere richiesto e ottenuto il «sì» della Corte Costituzionale).

Sembra non esserci più alcun dubbio. Ormai, in Italia, più che la Costituzione, sembra valere quella sorta di «immunità anticentrodestra» – per cui contro l’esecutivo Meloni, che ne è espressione, si può dire e fare tutto, il suo contrario e anche la «rivolta sociale» (vedi l’ennesimo violento «No Meloni day» dell’altro giorno) – che si sono autoattribuiti: collettivi e gruppi autonomi pseudo-alternativi, media mainstream, intellettuali e giornalisti, fra cui, naturalmente, anche Ranucci.

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La vicenda Ranucci-Report e il cambio di identità del programma

Al quale va tutta la mia solidarietà per l’attentato di cui è stato fatto oggetto e per aver, sin dal primo momento, smentito la tesi della sinistra secondo cui dietro la bomba ci sarebbe stata una pista politica. Un po’ meno, però, per il modello di conduzione di «Report», trasformato da programma d’inchiesta e informazione in uno strumento per sparare contro l’esecutivo che non piace all’establishment e soprattutto contro ciò che questo sta facendo e realizzando.

Da qualche settimana, infatti, stiamo assistendo a un dibattito che, nonostante le apparenze, non ha alcunché a che fare con la cronaca giudiziaria e politica, ma molto con la sceneggiata napoletana. I cui protagonisti sono, da un lato, il Garante per la protezione della privacy (colpevole, secondo sinistra e Ranucci, di essersi fatto condizionare dal «governo») e, dall’altro, nel ruolo di primo imputato, l’esecutivo (reo di aver «manovrato», a dire degli stessi, il Garante). Una vicenda che solleva interrogativi sul significato della difesa dei dati personali, di «Report» e del diritto stesso alla riservatezza.

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Il caso dell’intercettazione Sangiuliano e la sanzione del Garante

Il tutto in conseguenza della sanzione di 150 mila euro comminata a Report, che sarà ovviamente pagata dalla Rai – ovvero dai contribuenti – per aver diffuso l’intercettazione di una telefonata privata tra l’ex ministro della Cultura, Sangiuliano, e sua moglie, che, secondo il Garante, violava sia il principio di minimizzazione previsto dal Regolamento generale sulla protezione dei dati, sia le regole deontologiche del giornalismo.

Per cui il diffondere «coram populi», via etere, quel dialogo poteva essere tranquillamente evitato. Non aggiungeva né toglieva alcunché alla notizia in discussione, ma serviva soltanto a dimostrare ciò che la narrazione giornalistica intendeva far credere.

Ranucci e Report – per non smentirsi – hanno risposto che quel dialogo era di interesse pubblico e toccava questioni ministeriali le cui soluzioni avrebbero potuto essere influenzate dalle dinamiche familiari. Non è necessario che sia il sottoscritto a dirlo: è la realtà a dimostrare che si trattava soltanto di un tentativo di mettere una toppa al danno prodotto, che però si è rivelata ancora peggiore del buco stesso.

Anche perché ad allargarlo ulteriormente ha provveduto madam Elly, ormai accerchiata da tutti e indebolita dai risultati ottenuti da quando è stata eletta al Nazareno e a rischio defenestrazione.

Per salvare se stessa ha accusato il collegio del Garante – presieduto da Pasquale Stanzione, nominato nel 2020 dal governo Pd-M5S – di essere asservito al «principe», chiedendone le dimissioni. Ma questi, intervistato dal Tg1, ha ribadito di non avere «mai assunto alcuna decisione per una ragione diversa dall’applicazione rigorosa della legge, in piena indipendenza di giudizio».

Il dossier Venanzoni e i numeri su Report

Il che è abbondantemente dimostrato nei dettagli dell’informazione di «Report», come da dossier del senatore Venanzoni (FdI) illustrato in occasione della sua ultima audizione alla Commissione di vigilanza Rai. Anzi, a sentirli, i numeri di quel dossier scoppiettano come fuochi d’artificio. Intanto, è diviso in due periodi: il ’21-’22, con il governo dei migliori di Draghi, durante il quale politica e politici, per Report, praticamente non esistevano; e il ’24-’25, con l’esecutivo Meloni, nel quale, invece, esistono eccome, soprattutto quelli di centrodestra.

Per tutto il biennio, l’attenzione dei «reportisti» è stata dedicata per il 94% a esponenti del centrodestra, mentre solo il 6% a quelli del centrosinistra, ma mai ai grillini. Dove erano, allora, Report e Ranucci quando Tridico (che in settimana ha inviato a Elly una dichiarazione che è una sorta di lettera di sfratto dal Nazareno) e Conte s’inventarono bonus, superbonus e reddito di cittadinanza, di cui non si riesce ad avere contezza della spesa totale?

Ma – almeno stando a chi di numeri se ne intende – questa oscilla tra i 196 e i 210 miliardi per le incentivazioni edilizie (di cui 120 restano ancora da pagare) e per 34,6 miliardi (in soli quattro anni) per il Rdc. Forse anche questi sprechi avrebbero meritato un po’ più di attenzione, o no? Già, ma purtroppo Ranucci & C. «non c’erano, e se c’erano dormivano». In fondo «lorsignori» governavano invocando: «onestà, onestà». Quella degli altri, ovviamente!

Setaro

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