La premier: non arriverà perché Landini o Usb indicono lo sciopero
La riuscita del piano di Trump per Gaza e le sorti della Flotilla tengono la politica col fiato sospeso. L’appuntamento nell’Aula della Camera è per domani con le comunicazioni del ministro Antonio Tajani sulla situazione in Medio Oriente: in quell’occasione i deputati dovranno approvare una o più risoluzioni sul tema che – vista la situazione estremamente fluida – i partiti non hanno ancora chiuso. E la premier Giorgia Meloni lancia l’appello: «Mi piacerebbe che l’Italia votasse compatta per dimostrare che la pace la si vuole davvero» perché «la pace non arriverà perché Landini o Usb indicono lo sciopero» ma «se qualcuno lavora ai tavoli a cui bisogna lavorare a proposte serie e su questo – ribadisce – davvero mi piacerebbe che lavorassimo insieme».
L’invito del governo alle opposizioni è chiaro: «Vorremmo che giovedì (domani, ndr.) in Parlamento tutti insieme sostenessimo questa azione di pace, non dividiamoci», afferma anche il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani. Nella minoranza parlamentare, il leader di Azione Carlo Calenda sposa la stessa tesi: «ritirare le mozioni» dei diversi gruppi e «dire che il Parlamento italiano insieme sostiene il piano» di Trump «come una via di uscita. Sarebbe un atto di responsabilità». Il centrodestra giorni fa aveva preannunciato un documento con il riconoscimento della Palestina condizionato all’esclusione di Hamas dal governo della Striscia e al rilascio di tutti gli ostaggi.
L’opposizione divisa
Ma evidentemente ora il focus sta cambiando. Pd, M5s e Avs puntano a una posizione comune su Gaza ma su questa intenzione – per ora confermata – pesano le posizioni diverse che ci sono nei tre partiti sul progetto di pace statunitense e sulla missione degli attivisti in mare. E, a caldo, le poche reazioni registrate non vanno in senso unitario: «Non rinunciamo certo a confermare quella che è una linea politica che abbiamo espresso in questi due anni con chiarezza e fermezza», scandisce il leader del M5s Giuseppe Conte che non lesina critiche alla proposta di Trump: «Lo spirito è condivisibile, ma va chiarito il riconoscimento dello stato di Palestina e respingere le occupazioni abusive in Cisgiordania». Ancor più puntuto, da Avs, Marco Grimaldi che non esita a definire il piano «colonialista e suprematista».
Mentre il Pd si muove con cautela: «Seguiamo con attenzione il negoziato» e «auspichiamo che si giunga al più presto a un accordo che ponga fine alle atrocità e ai crimini commessi a Gaza e in Cisgiordania», commenta il responsabile Esteri Peppe Provenzano. L’ala riformista dem, per voce di Alessandro Alfieri, invita ad osare di più: «Oggi non è in discussione che cosa pensiamo di Trump o dei dettagli di quel piano, ma la possibilità di verificare se c’è una possibilità concreta di porre fine ad atroci sofferenze e ad una tragedia devastante», «se c’è» va «sperimentata». L’appello di Meloni a votare un documento unitario? M5s e Avs sembrano granitici nel proseguire per la loro strada.
«Sul piano Trump-Blair sono favorevole – apre Matteo Renzi -. Vediamo. Decideranno i capigruppo». I democratici si riuniranno per definire la linea a ridosso dell’appuntamento con Tajani (questa sera o, al limite, anche domattina mattina presto) e allo stato non si sbilanciano: «Non abbiamo visto nessun testo». Salvo intese bipartisan più ampie, il centrodestra potrebbe decidere di chiedere il voto per parti separate sulla sua risoluzioni per insinuarsi nelle posizioni diverse delle opposizioni.