Simboli medievali sopravvissuti al tempo
Sulla trafficata via Marina, fra le lunghe code di traffico e il frastuono della città, si elevano le Torri Aragonesi che affascinano e incuriosiscono: la Torre Brava e la Torre Spinella. Sono ciò che rimane dell’antico Castello del Carmine, uno dei bastioni più imponenti della Napoli medievale, demolito nei primi anni del Novecento per fare spazio alle nuove arterie viarie.
Il Castello del Carmine fu costruito nel 1382 per volontà di Carlo III di Durazzo, re angioino, in un’area allora periferica e paludosa. La sua posizione non era casuale: doveva proteggere la città dagli attacchi provenienti da oriente, sia via mare che via terra e, a differenza di altri castelli napoletani come Castel dell’Ovo o Castel Capuano, non era destinato a funzioni regali o a ospitare sale sontuose, era una fortezza puramente militare, fatta di torrioni, mura merlate e fossati, con solide strutture in tufo, piperno e laterizio.

Nei secoli subì modifiche importanti, infatti nel 1484, con gli Aragonesi, la cinta muraria venne rinforzata; nel Cinquecento parte del torrione principale fu ricostruita in forma quadrata dopo un’alluvione; nel Seicento, con il mutare delle tecniche belliche, furono introdotti nuovi adattamenti. In epoca barocca, alcune sale vennero persino adibite ad alloggio per capitani di ventura e mercenari.
Le vicende legate al Castello del Carmine e alle sue torri sono molteplici: nel 1647-48 la fortezza fu rifugio di Gennaro Annese durante la rivolta popolare guidata da Masaniello; nel 1701, vi si organizzò la congiura di Macchia contro il dominio spagnolo, mentre nel 1799 le sue mura assistettero all’effimera proclamazione della Repubblica Napoletana.
La Torre Spinella e la memoria dei condannati
Lo stesso anno, la Torre Spinella custodì prigionieri destinati all’esecuzione, fra cui Eleonora de Fonseca Pimentel, che qui trascorse le ultime ore prima di essere condotta al patibolo in Piazza Mercato. Per questo la torre era conosciuta in epoca borbonica come «guardione de’ birri», la prigione dei condannati a morte.
Il Castello venne demolito a partire dal 1906, sacrificato alla costruzione della nuova via Marina e sostituito dalla caserma Sani e, della grande struttura medievale, restano soltanto le due torri, oggi isolate e segnate dal tempo. La Torre Brava, alta 11 metri con un diametro di oltre 14, e la Torre Spinella, leggermente più bassa, emergono ancora dal suolo con i loro basamenti che scendono sotto il livello stradale nonostante i secoli e i danni subiti, conservando la loro imponenza.
La porta murata e l’incuria delle torri aragonesi di Via Marina
Negli ultimi anni, grazie a operazioni di bonifica, sono state rimosse quasi cento tonnellate di rifiuti che circondavano le torri. Ma purtroppo, queste antiche costruzioni, ancora oggi, sono vittima dell’incuria e degli incivili, come già raccontato da «ilSud24.it». Una delle opere di pulizia ha riportato alla luce i basamenti, nascosti per decenni sotto fango e immondizia. Proprio allora, la Torre Spinella ha svelato un dettaglio sorprendente: è stata riaperta la porta murata che conduceva alla cella dei condannati a morte.

Una delle ultime opere di recupero delle torri è rientrata nel programma comunale Monumentando, che affida a privati la ristrutturazione di monumenti cittadini in cambio dell’utilizzo di spazi pubblicitari. L’iniziativa ha previsto non solo la bonifica esterna, ma anche il restauro delle strutture murate da decenni. Il progetto ha incluso pure il Guado del Carmine del Settecento e la vicina Fontana della Marinella, risalente alla fine del XVIII secolo.
Negli ultimi mesi, il Demanio – proprietario dell’area – ha annunciato l’intenzione di colmare il fossato per evitare lo sversamento di rifiuti. L’obiettivo è «riportare il livello del suolo per consentire una pulizia quotidiana». Il Comune ha spiegato che «è stata proposta la recinzione dell’area, con possibilità di affidarla ad associazioni interessate alla gestione». Ma l’assessore Santagada ha anche avvertito che «senza un intervento strutturale, il rischio è solo spostare il problema altrove»