Una città così straordinaria non può restare prigioniera
Il papà di Giovanbattista Cutolo, detto giogiò, il ragazzo musicista ucciso a Napoli due anni fa per futili motivi, dichiara in una recente intervista al Corriere del Mezzogiorno, che in questo lasso di tempo seppure ci sono state tante iniziative, in città non è cambiato nulla. Parliamoci chiaro: Napoli non è mai stata quella città ribelle e rivoluzionaria che amiamo raccontare nelle canzoni o nei film. È stata, piuttosto, una città che ha saputo custodire con cura un equilibrio sottile e perverso tra camorra, malaffare, politica e società. Un equilibrio che ha garantito la sopravvivenza di tutti, senza pestarsi i piedi.
Una storia che viene da lontano
Sessant’anni fa le dinamiche erano già chiare: contrabbando a cielo aperto, motoscafi blu a Santa Lucia, bancarelle di sigarette nei vicoli, ragazzini – i «muschilli» – arruolati per scippi, rapine e spaccio. Persino l’allora sindaco Maurizio Valenzi (PCI), in un’intervista televisiva, arrivò a giustificare quei motoscafi parlando di «lavoro», quasi fossero parte del tessuto economico cittadino.
Napoli era già la capitale italiana della disoccupazione insieme alla Sicilia, e la criminalità organizzata offriva alternative che lo Stato non sapeva garantire. Poi, negli anni ’70 e ’80, esplosero le guerre di camorra e l’ascesa di Raffaele Cutolo, che diede alla malavita la struttura che, con adattamenti, ritroviamo ancora oggi. A distanza di mezzo secolo, la fotografia non è così diversa. Certo, i traffici sono cambiati, i clan si sono riorganizzati, le piazze di spaccio sono diventate più redditizie del contrabbando di sigarette. Ma l’impianto sociale resta lo stesso:
- convivenza tacita con l’illegalità;
- disoccupazione endemica;
- istituzioni deboli e incapaci di imporre un’alternativa;
- un patto implicito tra poteri forti, politica e criminalità
E questa continuità coincide con un dato politico incontestabile: Napoli è governata da decenni dalla sinistra, che tra cambi di facce e bandiere non ha mai saputo invertire la rotta. Una gestione che ha prodotto solo nuove emergenze sociali e che non ha mai intaccato davvero i rapporti di forza tra potere criminale e tessuto civile.
Il cambio di passo
Napoli non cambierà finché non si spezzerà questo meccanismo di convivenza col malaffare. Per invertire la tendenza servono:
- Istituzioni presenti e credibili, non solo a parole ma con servizi, sicurezza e controlli continui sul territorio.
- Lavoro vero, perché senza un’economia alternativa i giovani continueranno a finire nelle mani dei clan.
- Una magistratura coraggiosa, capace di andare fino in fondo e non chiudere più un occhio.
- Una politica nuova, libera dalle clientele e dalle connivenze storiche che hanno soffocato la città per decenni.
- Un’educazione diversa, che parta dai quartieri e restituisca ai ragazzi un futuro che non sia l’illegalità.
Napoli non è condannata per natura. È stata condannata da chi, per 60 anni, ha accettato che tutto restasse uguale, mascherando la realtà con parole altisonanti. Rompere questa catena è possibile, ma serve la volontà di dire basta. Perché una città così straordinaria non può restare prigioniera della sua storia.