Il figlio di «Sandokan» ha ammesso di aver venduto un terreno
Resta in carcere Ivanhoe Schiavone, figlio del capoclan dei Casalesi Francesco Schiavone «Sandokan», arrestato il 16 luglio scorso insieme all’altro indagato Pasquale Corvino dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Caserta nell’ambito di un’indagine della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli. Lo ha stabilito la dodicesima sezione del Riesame del Tribunale di Napoli, che ha confermato la misura cautelare emessa dal gip del Tribunale partenopeo per i reati di riciclaggio, autoriciclaggio ed estorsione, contestati in concorso e aggravati dall’agevolazione e dal metodo mafioso.
La vicenda giudiziaria
La vicenda è quella della vendita dei terreni di fatto di proprietà della famiglia Schiavone, che però negli anni sono stati sempre formalmente intestati a prestanome per evitare che potessero essere sequestrati dalla magistratura; Schiavone jr, assistito dall’avvocato Pasquale Diana, ha ammesso agli inquirenti di aver venduto in particolare un terreno perché in difficoltà economiche, ma ha respinto l’accusa di estorsione, che sarebbe stata commessa nei confronti dell’affittuario del terreno.
Il Riesame ha però confermato l’accusa di estorsione riqualificando il reato di riciclaggio in ricettazione aggravata, in relazione appunto ai soldi che Ivanhoe avrebbe percepito dalla vendita di un terreno situato a Grazzanise, in località Selvalunga. Ivanhoe Schiavone, fino al giorno dell’arresto, era l’ultimo dei figli maschi del padrino dei Casalesi ancora libero; gli altri, come Carmine ed Emanuele Libero, sono da tempo in carcere, mentre il primogenito del capoclan, Nicola, e il secondogenito Walter, sono in località protette dopo la decisione di collaborare con la giustizia.
Un clan in difficoltà economiche
Dall’inchiesta della Dda di Napoli sulla vendita di terreni emerge un clan in difficoltà economiche, tanto che Schiavone jr ha la necessità di monetizzare i tanti beni gestiti da prestanome; ma le operazioni di compravendita generano tensione e ansia tra gli stessi esponenti del clan, sebbene stretti congiunti, e confermano – come ipotizzato – l’estensione della rete delle cosiddette «teste di legno» che per decenni ha consentito ai boss di accumulare enormi ricchezze. Assolto nel 2015 dall’accusa di gestire il racket dei gadget pubblicitari, penne e altri prodotti, Ivanhoe Schiavone è stato accusato in particolare dall’affittuario di uno dei due terreni di Grazzanise.
Si tratta di un agricoltore che nel 2019 parlò con la Squadra Mobile della Questura di Caserta a cui raccontò che Ivanhoe Schiavone aveva contattato suo figlio su Instagram, prima di dirgli che doveva lasciare il terreno senza avanzare alcuna proposta di acquisto, perché il fondo era già stato venduto ad un terza persona. Lo stesso agricoltore riferirà poi anche ai carabinieri di aver consegnato una busta con dei soldi a Ivanhoe, sempre per la vicenda riguardante quei due terreni.