La premier spinge per un’intesa entro agosto
Tra Stati Uniti ed Unione europea va trovato «un accordo che deve essere vantaggioso per tutti», ogni altro scenario «sarebbe insensato». Giorgia Meloni resta convinta che ci siano i margini per convincere Donald Trump a ritirare la minaccia dei dazi al 30%. Assicura di lavorare «assieme agli altri leader» e in «costante contatto con la Commissione Ue». La premier ha sempre sostenuto che il 10% sarebbe «sostenibile». E il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti sottolinea che quella soglia era «ragionevole» e «non si può andare molto lontano da questo numero, altrimenti diventa insostenibile».
Questa partita è uno dei «lanci con il paracadute» che quotidianamente la presidente del Consiglio sente di vivere alla guida del governo, con «decisioni delicate, su temi molte volte inesplorati, da prendere in fretta e su cui non sono ammessi errori», perché «ci sono altri italiani che li pagherebbero». Una metafora usata – raccontando la storia del pilota Usa Charles Plumb durante la guerra del Vietnam e del marinaio che dopo ogni lancio gli riponeva vela e funi -, davanti alle giovani leve dei servizi, ringraziati «per tutte le volte in cui hanno preparato il nostro paracadute».
È la Commissione Ue a guidare i negoziati sui dazi
È la Commissione Ue a guidare i negoziati sui dazi, ma Roma sta cercando di giocare un ruolo non secondario. E Meloni sa che in questo caso un lancio fallimentare costerebbe alle imprese ricadute per miliardi, con inevitabili effetti occupazionali. Non manca il lavoro di analisi di intelligence e diplomazia nella partita sulle tariffe commerciali, un dossier su cui Meloni nei mesi scorsi si è proposta nel ruolo di «pontiere», creando anche le condizioni per un incontro a maggio a Roma fra Ursula von der Leyen e il vicepresidente Usa JD Vance.
Due mesi più tardi, il braccio di ferro transatlantico è in una fase critica. Nella sua missione a Washington il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani ne ha discusso anche con Marco Rubio, da cui ha ricevuto «rassicurazioni sulla parte politica» del tema, pur precisando che il segretario di Stato «non è il titolare» del dossier.
Contatti continui con Washington e Bruxelles
Per Meloni sono giorni di contatti continui con Washington, Bruxelles e gli altri leader europei. Ricevendo a Palazzo Chigi il nuovo cancelliere austriaco Christian Stocker ha ribadito che entro il primo agosto va raggiunto un accordo «vantaggioso per tutti» e va scongiurata «in ogni modo una guerra commerciale fra le due sponde dell’Atlantico», con l’obiettivo di «rafforzare l’Occidente nel suo complesso».
Il metodo negoziale su cui si ragiona nel governo è un accordo di principio da trovare subito, per poi procedere con trattative specifiche sui singoli settori. E lo scenario ideale sarebbe un riequilibrio della bilancia commerciale tra beni (l’Ue ha un surplus) e servizi (il surplus è degli Usa). Bisogna accelerare, è la convinzione, perché anche solo l’incertezza fa danni all’economia.
«È troppo importante arrivare a un ragionevole compromesso» sui dazi, ha sottolineato Giorgetti, «bisogna negoziare senza stancarsi, senza cedere di nemmeno un centimetro». La linea di Palazzo Chigi resta quella di evitare di «polarizzare» la dialettica in questa fase del negoziato. Meloni non nomina mai Trump parlando di dazi, ma saluta «positivamente» il suo cambio di postura nei confronti di Vladimir Putin nel negoziato sulla crisi in Ucraina.
Salvini e le critiche a Bruxelles
Lo nomina invece Matteo Salvini: «Rido o tremo all’idea che qualcuno si sieda al tavolo con Trump parlando di bazooka perché la trattativa finisce male», la convinzione del vicepremier e leader della Lega, scettico sulle capacità negoziali di Bruxelles perché il passato non depone a favore di Ursula e della capacità di trattativa dell’Ue».
Le opposizioni, intanto, insistono affinché la premier riferisca al Parlamento. Alla Camera Avs, Pd, M5s, Iv, Azione e Più Europa hanno chiesto un’informativa urgente, accusando Meloni «di nascondersi e scappare». «Il governo non ha intenzione di scappare: lavora, lavora in silenzio, riferirà a tempo debito», la replica del ministro dei Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani, secondo cui «si tratta di rispettare quello che avviene in queste ore febbrili nelle trattative tra i governi, l’Ue e gli Usa».