Elly Schlein, la prestigiatrice del flop: «Il referendum? Ci vediamo alle politiche»

Trasforma il disastro in un successo. E nel Pd si affilano i coltelli

Signore e signori, accorrete al teatro delle meraviglie di Elly Schlein, dove un referendum naufragato diventa, con un colpo di bacchetta, una gloriosa «prova generale» per le politiche! Prima del voto, il centrosinistra vendeva i quesiti come il colpo mortale per spedire Giorgia Meloni a fare le valigie. Ora, dopo un fiasco che farebbe impallidire un venditore di pentole, Schlein si stringe nelle spalle con un sorrisetto da cabaret: il referendum? Una bazzecola, il vero show è alle politiche.

Con 15 milioni di elettori alle urne (30,5% di affluenza), non tutti con la bandiera rossa in tasca, la nostra cantastorie intona: «Hanno fatto una vera e propria campagna di boicottaggio politico e mediatico di questo voto, ma hanno ben poco da festeggiare: per questi referendum hanno votato più elettori di quelli che hanno votato la destra mandando Meloni al governo nel 2022». E poi, il gran finale: «Ne riparliamo alle politiche». Brava, Elly, perché un referendum è solo un riscaldamento, mentre le politiche sono il Super Bowl, vero? Peccato che gli elettori, stufi delle tue favole, abbiano scelto di restare a casa, lasciando il quorum a marcire tra le promesse non mantenute del centrosinistra.

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Un paragone che fa acqua da tutte le parti

Il suo incantesimo, però, si sgretola al primo sguardo lucido. Paragonare un referendum alle elezioni politiche è come confondere una pozzanghera con l’oceano. Ai referendum vota chi ci crede davvero, chi ha studiato i quesiti come un monaco amanuense o chi brucia di passione ideologica.

Alle politiche, invece, la gente si sente coinvolta, si alza dal divano per scegliere facce, nomi, promesse (o illusioni) che decideranno il governo. L’affluenza vola oltre il 60%, mentre i referendum abrogativi di solito arrancano molto sotto il 50%, con il quorum che resta un miraggio. Stesso elettorato? Solo nei sogni. Nella realtà, è come paragonare un tifoso da curva a uno che guarda la partita al bar. E questa volta, cara Schlein, gli elettori hanno snobbato le tue storie, preferendo il divano al seggio: le favole del centrosinistra non incantano più.

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Il tridente canta, ma è fuori tono

Eppure, il «tridente» Pd-M5s-Avs insiste a cantare come un coro di karaoke dopo troppe birre. Giuseppe Conte, con il suo aplomb da guru da talk show, sospira: «Avremmo voluto che si raggiungesse il quorum per i tanti lavoratori in difficoltà che avrebbero potuto riappropriarsi di alcune tutele e difese». Ma, tranquilli, quei 15 milioni di voti sono «lo stesso numero di votanti (anzi alla fine potrebbero essere anche di più) con cui la maggioranza Meloni è arrivata al governo». Applausi, Giuseppe, hai trasformato una batosta in una medaglia di stagnola!

Volano i coltelli

Nel frattempo, il PD è un ring da wrestling. I riformisti, quelli che sognano un partito non fossilizzato nel secolo scorso, affilano le lame. Pina Picierno, con la grazia di un carrarmato, colpisce: «Sconfitta profonda, seria, evitabile. Purtroppo un regalo enorme a Giorgia Meloni e alle destre». Il Jobs Act, che i referendum volevano mandare al rogo, è il casus belli. «Fuori dalla nostra bolla c’è un Paese che vuole futuro e non rese di conti sul passato. Ora maturità, serietà e ascolto, evitando acrobazie assolutorie sui numeri», tuona Picierno, praticamente implorando Schlein di smettere di recitare poesie rétro.

Matteo Renzi, con il suo candore da profeta in esilio, rincara: «Il referendum non ha raggiunto il quorum, come facilmente prevedibile. I quesiti sul lavoro erano ideologici e rivolti al passato. Spero che sia chiaro che per costruire un centrosinistra vincente bisogna parlare di futuro, non di passato». Tradotto: Elly, basta con i filmini in bianco e nero.

Magi e lo Ius niente

Riccardo Magi di Più Europa, tra i promotori del referendum sulla cittadinanza, coglie l’occasione per regolare i conti con Conte e il M5s: «Nessuno ha più visto lo Ius Scholae e lo Ius Italiae. Si è passati allo Ius niente. Dove stanno le proposte? A chi dall’altra parte, come i progressisti indipendenti – che Uper me sono indipendenti dal progressismo – dicono che bisogna lavorare sui tempi delle procedure», sbotta, ricordando che i tempi per la cittadinanza sono passati da 2 a 4 anni sotto il governo Conte-Salvini, per poi fermarsi a 3. Un modo gentile per dire: cari alleati, almeno fingete di essere progressisti.

Schlein resiste, ma il Pd scricchiola

Eppure, nonostante il PD sembri un condominio in piena rissa, Schlein resta abbarbicata al trono. Francesco Boccia, come un fedele scudiero, sbandiera i successi della capa: «Elly Schlein quando è partita aveva il Pd al 14% e quattro regioni; ora le regioni sono 6 e il Pd alle europee è andato al 24%, lo segnalo a chi fa le analisi». Nessun terremoto in vista, giura un alto dirigente dem: le spaccature c’erano già, il fiasco referendario non cambia nulla. Si punta alle realtà locali, alle regionali, e poi, forse, alle politiche.

Il gran finale (o forse no)

Schlein, con il microfono come scettro, incanta la platea: «La differenza tra noi e la destra di Meloni è che oggi noi siamo contenti che oltre 14 milioni di persone siano andate a votare, mentre loro esultano perché gli altri non ci sono andati. Ne riparliamo alle prossime politiche». Fratoianni e Bonelli applaudono come fan a un concerto di cover band: «Non ci sarà un quorum a salvare Giorgia Meloni». Certo, perché alle politiche il quorum non serve, ma ci vogliono idee, unità e un partito che non sembri un circo itinerante. Per ora, Elly, continua a raccontare favole. Gli elettori, però, hanno già smesso di ascoltarle, lasciando i seggi deserti. Noi, armati di risate, aspettiamo il prossimo atto di questa tragicommedia.

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