Cinque «No» convinti e legittimi senza bisogno di andare alle urne

Forse così capiranno che servono idee e non inutili baracconate

Ce l’ha messa davvero tutta, la leader del Pd, Schlein – fidando sui suoi, più pretesi che presunti, alleati, M5s, Avs e Cgil per poter cantare vittoria, domani, alla chiusura delle urne per i quesiti abrogativi, su Jobs Act e immigrati.

Anche se – come appare ormai scontato – dovesse aver perso. Tant’è che – da quando si è resa conto che riuscire a raggiungere il quorum indispensabile per dare validità ai risultati – più che un sogno è un incubo – anziché promuovere i 5 quesiti si è limitata (del resto, non è una novità) a denigrare la Meloni e il centrodestra per essersi schierati legittimamente per il non voto.

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Ha silenziato perfino le 2 manifestazioni «pro Gaza e contro il dl sicurezza (che, lorsignori, considerano la dimostrazione della deriva fascista di questo governo)» appositamente organizzate per fare casino, a Roma il 6 e a Milano il 7. In fondo, in nome del quorum, rischiare un po’ di «violenza» contro le forze dell’ordine, bruciare qualche cassettone e spaccare qualche vetrina, può anche tornare utile.

Possibile che questa opposizione si batta, sempre e soltanto, per chi fomenta guerre, delinque, truffa gli anziani, borseggia e immigrati irregolari, occupatori abusivi di case altrui e mai per gli uomini in divisa, donne e cittadini onesti che cercano solo lavoro, sicurezza e dignità? Purtroppo, visto il livello qualitativo dell’opposizione italiota, difficile aspettarsi qualcosa di meglio.

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Sceneggiate e contraddizioni

Tant’è che anche in Senato, all’apertura della seduta per l’approvazione del dl «sicurezza», Pd, M5s e Avs hanno occupato il centro dell’aula, si sono seduti per terra a gambe incrociate, poi in piedi con le mani alzate in segno di resa, ma sempre provocatoriamente con le spalle rivolte ai banchi del governo, urlando «vergogna» e agitando un cartello «denunciateci tutti». Più una baracconata che una protesta politica. Ma tant’è! Di più, negli ultimi 20 giorni, non ha fatto che ripetere, «porteremo alle urne 12 milioni di italiani, lo stesso numero che ha consentito alla Meloni di diventare premier».

Il che, magari, la farà felice e la farà sentire più vicina alla leader del centrodestra, ma non le servirà a vincere, perché per dare validità ai referendum abrogativi deve votare il 50%+1 degli aventi diritto (ovvero 25.434.653) e 12.400.000 sarebbero un po’ pochini. Magari, li userà come pastiglie di Maalox contro il bruciore di stomaco e per produrre un altro buco nelle casse dello Stato. E non riusciranno neanche a tenere a distanza dalla corsa alla segreteria Pd, Landini e Conte dalla guida dell’opposizione.

Non raggiungere il quorum, infatti, sarebbe una sconfitta collettiva ascrivibile a tutti i leader del campo (santo). Anzi, se il numero dei votanti si fermasse al livello da lei «agognato», i veri perdenti sarebbero loro, Schlein, Boccia e compagni, e non – come hanno già cominciato a «narrare» – la Meloni e la maggioranza di governo che hanno invitato i propri elettori a non andare alle urne e questi li hanno ascoltati, dimostrando di avere ancora fiducia nel centrodestra.

La logica del quorum

Qualcuno potrebbe anche ricordarsi che a raccogliere le firme sui 5 quesiti e a presentare richiesta di referendum è stato il centrosinistra e che, quindi, avrebbe perso, oltre i referendum, quasi 2 milioni di quei 13,7 che da «sfusi» raccolsero nelle politiche ’22, e ora da «pacchetto» li avrebbero abbandonati.

E lo stesso qualcuno potrebbe anche sommare assieme i «no» usciti dalle urne, agli astenuti, che, costituzionalmente ai fini del risultato, hanno lo stesso valore e trasformare la vittoria del centrodestra in un trionfo epocale. Ma viene anche da chiedersi se questi signori si siano mai domandati «perché i nostri padri costituenti, quando stesero gli articoli della Magna Charta non previdero alcun quorum di validità per nessuna consultazione popolare, tranne che per l’abrogazione delle leggi costituzionali».

Tant’è che elezioni politiche, amministrative, e referendum confermativi di modifiche costituzionali sono valide indipendentemente dal numero dei votanti, ma quelli abrogativi solo se «ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi». Lo sanno ma fingono di non saperlo, perché gli fa comodo. E, si badi bene, non per l’importanza effettiva dell’eliminazione delle norme interessate dai «quesiti», bensì per utilizzarli a scopo politico sognando di far cadere – come vorrebbero fare adesso – il governo per via referendaria.

L’uso politico distorto

In realtà, il raggiungimento del quorum serve a evitare l’uso politico distorto dello strumento referendario e non correre il rischio di cancellare una norma che non piace a una minoranza – magari, per motivazioni particolari e non per interessi generali – e aprire una crisi di governo, bensì perché ad essere convinta della giustezza di abrogarla sia effettivamente la maggioranza degli aventi diritto al voto.

Carissimi Schlein, Landini & c., questa è la logica de «la sovranità appartiene al popolo» che rappresenta il cuore pulsante della Costituzione e con il quale sembra abbiate poca dimestichezza. Per questo il sottoscritto, vota «no» legittimamente senza bisogno di andare alle urne

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