Ma l’impatto sulla manovra potrebbe essere minimo
L’economia italiana è cresciuta negli ultimi tre anni più del previsto ma l’impatto sulla manovra potrebbe essere minimo, quasi impercettibile. L’attesa revisione dei conti economici nazionali operata dall’Istat mostra un Pil aumentato anno dopo anno più del previsto e arrivato nel 2023 in termini assoluti a 2.128 miliardi, un livello superiore ai massimi toccati prima della crisi finanziaria del 2008. L’impatto sui conti pubblici è stato conseguente: il deficit è passato dal 7,4% al 7,2% e il debito è sceso in maniera ancora più vistosa, dal 137,3% stimato la scorsa primavera al 134,6%.
Le nuove stime, entrate nel dibattito politico in vista della messa a punto del Piano strutturale di bilancio nella speranza di molti di ottenere dalla statistica un tesoretto utile per la manovra, non sembrano però avere un effetto immediato e di portata significativa su quest’anno e i successivi. Dal punto di vista tecnico, l’Istat non si sbilancia, parlando di «una dinamica sottostante che sostanzialmente rimane confermata», nonostante il livello del Pil sia salito oltre le previsioni iniziali.
La lettura politica
Dando una lettura un po’ più politica, Lucia Albano, sottosegretaria al Mef in quota Fdi, vede invece nel miglioramento dei conti pubblici «una maggiore flessibilità» per la manovra.
Con un’interpretazione che non coincide però con quella di Giancarlo Giorgetti. Per il ministro dell’Economia, la revisione «è di lieve entità» e non cambia i principi e il quadro del Piano strutturale di bilancio già esaminato dal consiglio dei ministri del 17 settembre. Il Psb sarà quindi ora semplicemente «rifinito» alla luce dei nuovi numeri. Il messaggio a partiti e ministri resta dunque quello già recapitato qualche giorno fa: di tesoretti non ce ne sono. Effettivamente l’impatto sul 2024 è estremamente complicato da calcolare.
Il prodotto interno lordo
Innanzitutto perché, se da una parte l’Istat ha rivisto al rialzo il valore nominale del Pil sia del 2021 che del 2022 e del 2023 (influenzando in positivo il deficit e il debito che si calcolano proprio con il Pil al denominatore), dall’altra ha alzato il tasso di crescita solo per i primi due anni, tagliando invece quello dell’ultimo. In pratica, nonostante lo scorso anno il prodotto interno lordo italiano sia cresciuto di 43 miliardi in più rispetto alle stime di aprile, arrivando appunto a sfiorare i 2.130 miliardi, la crescita dell’economia è stata dello 0,7% e non dello 0,9% come calcolato finora. Il confronto con il 2022 rivisto al rialzo porta infatti ad un ridimensionamento della percentuale di variazione.
Alla luce dei nuovi numeri, per l’Istituto di statistica potrebbe esserci «solo un effetto scala e non sui tassi crescita». Giorgia Meloni ha del resto già anticipato che il governo crede di poter raggiungere una crescita dell’1% come indicato nei tendenziali dello scorso Def. Come annunciato subito dopo il consiglio dei ministri che ha avviato l’esame del Psb, il defict dovrebbe invece rientrare progressivamente fino a scendere sotto il 3% entro il 2026, anche se il percorso potrebbe essere reso più arduo dalla volontà espressa da Giorgetti di rendere strutturale il taglio del cuneo.
Infine, come richiesto dall’Europa, la spesa dovrebbe ridursi dell’1,5% l’anno, anche se – evidenzia Lorenzo Codogno – la revisione al ribasso della spesa corrente operata oggi dall’Istat per il 2023 potrebbe rendere «un po’ più difficile» ridurre l’indicatore già nel 2024. I numeri completi arriveranno a breve all’attenzione dei parlamentari. Non è ancora certo che il Piano debba tornare in cdm: mercoledì pomeriggio sarà illustrato alle parti sociali e poi potrebbe essere trasmesso direttamente alle Camere. In alternativa potrebbe essere riesaminato dai ministri nella prossima riunione di governo al momento programmata per venerdì