Operaio ucciso in agguato a Napoli: collaboratore di giustizia condannato

di redazione

Antonio Pipolo reo confesso dell’omicidio di Carlo Esposito e dell’innocente Antimo Imperatore

La Corte di Assise di Napoli (terza sezione, presidente Lucia La Posta) ha condannato a 26 anni di carcere il collaboratore di giustizia Antonio Pipolo, reo confesso dell’omicidio di Carlo Esposito, legato alla camorra del rione Ponticelli di Napoli e, soprattutto di Antimo Imperatore, un operaio trovatosi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Il Giudice ha escluso l’aggravante dell’associazione a delinquere di tipo mafiosa, anche in relazione al metodo in cui è avvenuto l’agguato. Riconosciuta, invece, la sussistenza della premeditazione e delle attenuanti generiche. La sentenza è stata accolta da un applauso dei familiari.

Imperatore era a casa del vero obiettivo dell’agguato per installare una zanzariera: venne colpito alle spalle da Pipolo che pochi istanti prima aveva ucciso Esposito, il vero obiettivo dell’agguato, colpendolo alle spalle mentre cercava di scappare. L’agguato scattò nel rione Fiat del quartiere Ponticelli di Napoli, il 20 luglio 2023. Il verdetto è stato emesso al termine di una camera di consiglio durata quasi due ore. Il dibattimento si è chiuso con l’arringa del legale di Pipolo, l’avvocato Rosa Esposito che durante la discussione ha messo in evidenza tra l’altro che all’identità dell’esecutore materiale del duplice omicidio non si sarebbe potuti giungere senza le dichiarazioni rese dall’imputato.

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La famiglia: «Siamo soddisfatti della pena»

La famiglia, presente in aula, è stata difesa dall’avvocato Alessandro Motta (per Annunziata Lepre e Imma Imperatore, moglie e figlia dell’operaio) mentre l’altra figlia, Filomena, è difesa dall’avvocato Concetta Chiricone. «Siamo soddisfatti della pena ma ci aspettavamo che questo duplice omicidio venisse riconosciuto per quello che è: un agguato di camorra», commentano gli avvocati Motta e Chiricone. «Secondo noi questa è una sconfitta, malgrado la pena sia importante. Abbiamo chiesto l’ergastolo – continuano i due legali – perché riteniamo che Imperatore possa essere definito non solo una vittima dei reati mafiosi ma anche un martire: una persona che si sveglia la mattina per andare a lavorare e portare avanti la famiglia in maniera onesta in un città ma soprattutto nel quartiere in cui sono avvenuti i fatti, rende Imperatore un martire meritevole di ogni riconoscimento».

L’avvocato: «L’arma ritrovata grazie a una videotelefonata con la polizia»

Particolare fu la dinamica del ritrovamento dell’arma. Secondo quanto ha ricordato l’avvocato Rosa Esposito è stato proprio Pipolo a indicare l’esatto punto in cui aveva occultato l’arma usata per l’agguato, in una videochiamata con i poliziotti che si erano recati nella località resa nota dal killer reo confesso. Il giudice ha ritenuto insussistente l’associazione mafiosa sia in termini di agevolazione, sia in relazione al metodo. E neppure è stata riconosciuto l’attenuante che viene riservata ai cosiddetti «pentiti».

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La collaborazione con la giustizia, secondo quanto rese noto lo stesso Pipolo, è stata intrapresa per il timore di ritorsioni da parte del clan a seguito del duplice omicidio in cui, peraltro, venne assassinato anche una persona estranea alle dinamiche criminali: Antimo Imperatore. «Non ci sono intercettazioni – ha sottolineato l’avvocato Esposito invocando l’attenuante per i collaboratori di giustizia – non sono state rilevate impronte e neppure tracce di DNA. Non ci sono testimoni, immagini video e qualsiasi altro elemento in grado di incastrare Pipolo. Solo attraverso le sue propalazioni autoaccusatorie si è potuti risalire all’autore dei delitti».

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