Droga e cellulari nelle carceri? Venivano consegnati con i droni

I telefoni calati da un’altezza di 30 metri

Consegnavano mini-telefoni, smartphone sim e caricabatterie ai detenuti nelle carceri italiane ad alta vigilanza, trasportandoli con droni ad alta tecnologia. Un giro d’affari che si stava rapidamente estendendo e che aveva fruttato 100mila euro in poco meno di 3 mesi. A scoprire l’attività criminale un’indagine, coordinata dalla Procura della Repubblica di Asti e condotta dalla squadra mobile della Questura di Asti, avviata nell’ottobre scorso da un controllo di una volante di polizia. Quattro gli arresti eseguiti, con l’accusa di associazione per delinquere.

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L’inchiesta è stata illustrata, alla Questura di Asti, dal procuratore capo di Asti Biagio Mazzeo, dal questore Marina Di Donato e dal dirigente della squadra mobile Marco Barbaro Nelle indagini hanno collaborato le squadre mobili delle questure di Napoli, Agrigento e Viterbo. Gli arrestati sono Simone Iacomino, già recluso ad Agrigento, Veronica Virgilio e Salvatore Sbrescia, residenti nella provincia di Napoli, e Vasll Dziatko, nel Viterbese. Le consegne sono state scoperte nelle carceri di Asti, Saluzzo (Cuneo), Catania, Ascoli, Benevento, Teramo, Ariano Irpino.

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I telefoni venivano calati da un’altezza di 30 metri, legati a un filo, dopo che gli organizzatori del traffico e un detenuto già in contatto con loro avevano concordato tempi e modi delle consegne -. Spesso erano destinati a detenuti appartenenti ad associazioni di stampo mafioso. Le indagini hanno appurato che, oltre ai cellulari, è stata consegnata anche droga.

L’utilizzo delle tecnologie

«Non è la prima indagine in cui ci imbattiamo nell’utilizzo dei droni – ha detto, in conferenza stampa, il procuratore Mazzeo – non sono casi isolati e c’è interesse delle associazioni criminose che sfruttano la domanda dei detenuti che cercano di avere cose che in carcere non possono tenere. L’utilizzo delle tecnologie preoccupa, perché le carceri italiane non sono dotate di strumenti per contrastare l’utilizzo di tecnologie, come in questo caso, i droni. In teoria potrebbero arrivare anche delle armi smontate».

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«Bisogna correre ai ripari, il fenomeno è inquietante e so che il problema è già sul tavolo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Le carceri andrebbero dotate di strumenti di difesa tecnologica, a partire da disturbatori di segnale per contrastare con sistemi elettronici la tecnologia usata dai criminali».

Nell’indagine di Asti «è stata fondamentale la collaborazione della polizia penitenziaria – ha sottolineato Marco Barbaro -. Grazie alle loro segnalazioni abbiamo potuto scoprire dodici consegne di droni nelle carceri italiane, a partire da quella fatta ad Asti. Si trattava di un’organizzazione che ‘curava tutti i dettagli, con una ‘mente’ ad Agrigento, due persone che si occupavano della logistica, un esperto di droni, scelti tra i più silenziosi. I destinatari dei pacchetti con i cellulari li rivendevano poi all’interno del carcere».

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