Rapporto Svimez, nonostante la crescita occupazionale il reddito delle famiglie soffre

di Mimmo Della Corte

Nel Mezzogiorno il 40% delle opere prioritarie è programmato con l’85% di finanziamento acquisito

La crescita del Pil italiano è stimata a +0,7% nel 2023: +0,4% nel Mezzogiorno, +0,8% nel Centro-Nord. La riapertura del divario di crescita Nord-Sud è imputabile al calo dei consumi delle famiglie (-0,5%). Dinamica sfavorevole causata da una contrazione del reddito disponibile delle famiglie meridionali (- 2%), doppia rispetto al Centro-Nord come nel 2022. Gli investimenti dovrebbero essere interessati da una dinamica positiva, ma in forte decelerazione rispetto al 2022: +5% dal +9,8 dell’anno precedente nel Mezzogiorno, +3,3% dopo il +9,1 del 2022 nel Centro-Nord.

Lo si rileva dal rapporto 2023 dell’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno (Svimez), presentato oggi a Villa Adriana a Roma. La dinamica del Pil italiano nel biennio 2021-2022 è apparsa decisamente comune su base territoriale. L’economia meridionale è cresciuta del 10,7%, recuperando ancora più di quanto aveva perduto nel 2020 (-8,5%). Certo, nel Centro-Nord, la crescita è stata leggermente superiore (+11%), ma era reduce da una flessione maggiore nel 2020 (- 9,1%).

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La novità di una ripartenza allineata tra Sud e Nord sconta però l’eccezionalità del contesto post-Covid per il tenore straordinariamente espansivo delle politiche di bilancio e la diversa composizione settoriale della ripresa. Fatto 100 il dato di crescita cumulata del valore aggiunto extra-agricolo nel biennio, i servizi hanno contribuito per 71,1 punti nel Mezzogiorno e 63,6 nel Centro-Nord. Il contributo delle costruzioni si è spinto 7 punti oltre la media del Centro-Nord (18,9 contro 11,9).

Il divario infrastrutturale

Il rapporto anche quest’anno certifica il notevole divario infrastrutturale fra Nord e Sud. A cominciare dalla rete ferroviaria del Mezzogiorno decisamente in ritardo, con solo 181 km di alta velocità (12,3% del totale) concentrati in Campania. Il divario nell’elettrificazione ferroviaria è significativo, con il 58,2% al Sud e l’80% al Centro-Nord.

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Sostanzialmente analoga la situazione per quanto attiene la rete stradale meridionale, con appena 1,87 km di autostrada per 100 km2 rispetto ai 3,29 al Nord e 2,23 al Centro. Il Piano di infrastrutture prioritarie del Ministero dei Trasporti, con risorse di 131 miliardi (101 miliardi finanziati), assume un ruolo chiave. Nel Mezzogiorno, il 40% delle opere prioritarie è programmato (52,6 miliardi), con oltre l’85% di finanziamento acquisito. I fondi per il Sud salgono al 58,5% considerando PNRR e Piano Complementare.

Tuttavia, persistono nodi legati alla spesa e alla minore maturità dei percorsi realizzativi nel Mezzogiorno, con solo il 13,3% delle opere in corso (contro il 33,5% al Centro-Nord). Gli interventi del PNRR risentono di difficoltà attuative, legate all’aumento dei costi dei materiali e alla reperibilità delle materie prime.

La ripresa dell’occupazione

Rispetto al pre-pandemia, però, la ripresa dell’occupazione si è mostrata più accentuata nelle regioni meridionali: +188 mila nel Mezzogiorno (+3,1%), +219 mila nel Centro-Nord (+1,3%). Ma nella ripresa post-Covid dopo il «rimbalzo» occupazionale è tornata a inasprirsi la precarietà.

Dalla seconda metà del 2021, è cresciuta l’occupazione più stabile, ma la vulnerabilità nel mercato del lavoro meridionale resta su livelli patologici. Quasi quattro lavoratori su dieci (22,9%) nel Mezzogiorno hanno un’occupazione a termine, contro il 14% nel Centro-Nord. Il 23% dei lavoratori a temine al Sud lo è da almeno cinque anni (l’8,4% nel Centro-Nord). E’ quanto emerge dal Rapporto.

Tra il 2020 e il 2022 è calata la quota involontaria sul totale dei contratti part time in tutto il Paese, ma il divario tra Mezzogiorno e Centro-Nord resta ancora molto pronunciato: il 75,1% dei rapporti di lavoro part time al Sud sono involontari contro il 49,4% del resto del Paese. Purtroppo, l’incremento dell’occupazione non è riuscito ad alleviare il disagio sociale in un contesto di diffusa precarietà e bassi salari. Bisogna, però riconoscere che non è un problema soltanto meridionale.

Anzi, nonostante la crescita dell’occupazione, nel 2022 la povertà assoluta è aumentata in tutto il Paese e nel 2022 sono 2,5 milioni di persone in povertà assoluta al Sud: +250.000 in più rispetto al 2020 (-170.000 al Centro-Nord). L’aumento della povertà tra gli occupati conferma che il lavoro, se precario e mal retribuito, non assicura l’uscita dal disagio sociale.

Nel Mezzogiorno, la povertà assoluta tra le famiglie con persona di riferimento occupata è salita dell’1,7% tra il 2020 e il 2022 (dal 7,6 al 9,3%). Un incremento si osserva tra le famiglie di operai e assimilati: +3,3 punti percentuali. Questi incrementi sono addirittura superiori a quello osservato per il totale delle famiglie in condizioni di povertà assoluta.

Il peso dell’inflazione

Ecco perché l’inflazione andando a incidere su stipendi e salari già deboli, quando addirittura non esistenti, al Sud l’inflazione pesi il doppio e renda ulteriormente insostenibile la quotidiana delle famiglie del Sud.

La diminuzione delle nascite e il progredire della speranza di vita hanno portato l’Italia tra i paesi europei più anziani. Le migrazioni interne e internazionali hanno ampliato gli squilibri demografici Sud-Nord. Dal 2002 al 2021 hanno lasciato il Mezzogiorno oltre 2,5 milioni di persone, in prevalenza verso il Centro-Nord (81%). Al netto dei rientri, il Mezzogiorno ha perso 1,1 milioni di residenti verso il Centro-Nord soprattutto i più giovani: tra il 2002 e il 2021 il Mezzogiorno ha subìto un deflusso netto di 808 mila under 35, di cui 263 mila laureati.

Purtroppo, il processo di invecchiamento del Paese – secondo il rapporto Svimez – non si arresterà nei prossimi decenni: tra il 2022 e il 2080, il Mezzogiorno dovrebbe perdere il 51% della popolazione più giovane (0-14 anni), pari a 1 milione e 276 mila unità, contro il -19,5% del Centro-Nord (-955 mila). La popolazione in età da lavoro si ridurrà nel Mezzogiorno di oltre la metà (-6,6 milioni), nel Centro-Nord di circa un quarto (-6,3 milioni di unità). Il Mezzogiorno diventerà quindi l’area più vecchia del Paese nel 2080, con un’età media di 51,9 anni rispetto ai 50,2 del Nord e ai 50,8 del Centro.

Fitto: «Una strategia per le aree interne»

«Per la prima volta, è stata messa a punto una strategia per le aree interne con una programmazione dal punto di vista infrastrutturale e dei servizi». Lo afferma il ministro per gli Affari europei, per le politiche di coesione e per il Pnrr, Raffaele Fitto alla presentazione del rapporto Svimez. Che sottolinea che l’obiettivo è «far sì che un giovane rimane nel suo piccolo comune perché ci sono le condizioni per restarci».

Dal primo gennaio prossimo entrerà in vigore la Zona Economica Speciale Unica del Sud, nota come. Questa nuova entità unificherà le regioni di Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia e Sardegna in una singola zona economica, sostituendo le otto ZES precedentemente esistenti, semplificando procedure, autorizzazioni e di conseguenza rendendo più facile e veloce la realizzazione dei progetti in cantiere.

Il che renderà ancora efficace ed efficiente la messa e la realizzazione di quel Pnrr dal cui successo nel prossimo biennio dipenderà il successo la realizzazione degli interventi programmati e la crescita del Mezzogiorno. Che non sarà cosa di poco conto visto  che il valore complessivo dei progetti presenti in Regis ammonta a 32 miliardi di euro, per il 45 per cento allocati ai comuni del Mezzogiorno.

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