Ucraina e Russia: passo dopo passo verso il precipizio nucleare

di Nuccio Carrara*

Sarà un viaggio senza ritorno se non si recuperano il buon senso e la diplomazia

Non c’è momento, successivo alla seconda guerra mondiale, che non sia trascorso senza un conflitto e, soprattutto, senza che la grande potenza USA non sia intervenuta con i pretesti più disparati, in ogni angolo del mondo per esportare democrazia laddove convenisse.

L’intervento statunitense nella guerra del Vietnam, ad esempio, ebbe inizio dopo la messa in scena dell’incidente del Tonchino, preparata dai servizi segreti per giustificare un intervento armato: fu fatto credere al mondo intero che, nel fatidico 4 agosto del 1964, navi da guerra statunitensi fossero state attaccate da motosiluranti della Repubblica Democratica del Vietnam nel Golfo del Tonchino. In realtà, quel giorno non c’erano navi militari vietnamite nel Golfo e non avvenne nessun conflitto a fuoco, ma semplicemente le navi americane spararono contro un nemico immaginario, come ammise molti anni dopo il comandante della missione James Stockdale.

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L’episodio, fortemente voluto dal presidente americano Lyndon Johnson per convincere il Senato e l’opinione pubblica della necessità di intervenire nella guerra civile vietnamita a favore del Vietnam del sud, getta una luce sinistra sulla credibilità della prima potenza mondiale che si erge come modello di democrazia a difesa della libertà dei popoli.

La «credibilità» statunitense

Gli episodi successivi, volti a corroborare la «credibilità» statunitense, non si contano. Tra questi, il più famoso rimane quello che vide Colin Powell, Segretario di Stato USA, esibire la famigerata fialetta di antrace al Consiglio di Sicurezza dell’ONU (5 febbraio 2003) per dimostrare inoppugnabilmente che Saddam Hussein era in possesso di armi di distruzione di massa e perciò bisognava abbatterlo manu militari.

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L’Iraq fu quindi devastato dalle bombe «umanitarie» per deporre il feroce dittatore. La verità venne a galla molto tempo dopo per bocca degli stessi protagonisti, a cominciare dallo stesso Colin Powell. Le armi di distruzione di massa non c’erano mai state, ma la devastazione dell’Iraq, i bombardamenti a tappeto e oltre 151 mila morti, prevalentemente civili, ci furono davvero.

A seguire si potrebbero citare i casi di altri dittatori che «massacrano il proprio popolo». Gheddafi, dittatore libico, finì tra questi e venne ucciso senza processo. L’aggressione alla Libia vide la partecipazione pure dell’Italia, che non si curò di andare contro i propri interessi, politici e commerciali, nonché contro il Trattato di amicizia stipulato da poco.

Ma quando USA e NATO chiamano, l’Italia risponde, anche a costo di farsi male e con qualsiasi governo. Oggi la Libia è un non-Stato fortemente instabile, in preda ai Signori della guerra, per non parlare della presenza delle truppe russe e turche che hanno reso del tutto ininfluente la presenza italiana nel Mediterraneo.

Il precedente in Italia

Va pure detto che i pretesti di lite, fautori di sanguinose guerre, non sono una novità nella storia, e la nostra non fa eccezione. Si Pensi che Cavour ne fece ampio uso e nell’incontro di Plombières del 1859 con Napoleone III raggiunse un accordo che prevedeva, appunto, che l’Italia trovasse un pretesto per scatenare la reazione dell’Austria, così da permettere all’imperatore francese di intervenire militarmente a fianco delle truppe piemontesi nella progettata guerra di annessione della Lombardia.

Il Re Vittorio Emanuele II, subito dopo, in un discorso al Parlamento, pronunciò la fatidica frase, suggerita dallo stesso Napoleone III: «nel mentre rispettiamo i trattati, non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti d’Italia si leva verso di noi!». In realtà il «grido di dolore» era molto debole e proveniva da sparute minoranze di «patrioti» che alimentavano ad arte focolai di ribellione. Ma tant’è, perché così iniziò l’unificazione dei territori italiani ed in particolare l’occupazione dell’Italia meridionale da parte del Piemonte che pose fine allo Stato più ricco di allora, il Regno delle Due Sicilie.

Se a deciderlo sono i padroni del mondo, il principio di non ingerenza negli affari interni degli altri stati viene regolarmente stracciato, preferibilmente in nome della democrazia, della libertà dei popoli, dei diritti civili ecc. Nobili scopi che quasi sempre nascondono forti interessi economici e commerciali. E così, oggi ci troviamo coinvolti nostro malgrado in una guerra che non ci appartiene, quella che si sta combattendo in Ucraina. Ma dobbiamo accontentare la NATO e l’Unione Europea.

Il nostro intervento

Eppure l’Ucraina non è un paese NATO, non fa parte della UE e non vi è alcun trattato internazionale che possa giustificare qualsiasi nostro intervento. Ma è un Paese «aggredito», ci dicono, e bisogna fermare l’aggressore, ripetono. Senza badare alle reali cause del conflitto ed in barba al principio di non ingerenza negli affari altrui. Ma c’è di mezzo la democrazia, insistono!

E così, strano ma vero, ci siamo schierati con il Paese che ritenevamo il più corrotto d’Europa e siamo diventati nemici della Russia, che non ci ha fatto alcun torto e con cui abbiamo intrattenuto da sempre ottimi rapporti politici ed economici. Ci siamo fatti male pure con sanzioni suicide volute dai nostri finti amici di Bruxelles e Washington.

Come se non bastasse, sempre per compiacere i soliti amici, continuiamo a spedire costosissime e micidiali armi all’esercito ucraino. A fini di pace, però.

La pandemia guerrafondaia

Il nostro Presidente della Repubblica è stato chiaro: «Il sostegno politico, economico e militare all’Ucraina e le sanzioni alla Russia sono funzionali a far cessare la guerra, non ad alimentarla». La pandemia guerrafondaia non distingue più la pace dalla guerra e rischia di portarci in terapia intensiva, senza neppure un vaccino sperimentale.

Da parte dell’«eroico» Volodymyr Zelensky, Presidente dell’Ucraina, ogni giorno si invocano più armi, e sempre più potenti, per salvare la sua democrazia, che ha soppresso per legge ben undici partiti di opposizione, imposto alla stampa di adeguarsi alle veline del governo, vietato qualsiasi accordo di pace con la Russia di Putin. Militarmente sull’orlo della sconfitta, ha richiesto ai paesi NATO carri armati e aerei, nonché, tramite il suo entourage, persino la bomba atomica.

L’Occidente, che per anni ha messo la testa sotto la sabbia (lasciando che Zelensky perseguitasse le comunità russofone, bombardasse le repubbliche del Donbass e disattendesse gli accordi di Minsk) oggi sta spingendo il mondo intero verso la terza guerra mondiale e soprattutto verso il precipizio nucleare. Sarà un viaggio senza ritorno se non viene recuperato il buon senso e, con esso, un sano ed intelligente lavoro diplomatico.

Setaro

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