La riflessione | E dopo Draghi definitivi e precari … oligarchie e democrazia

di Rino Nania

Solo con uno Stato che assiste i bisogni sarà possibile educare al rispetto reciproco

Come un tempo Umberto Eco distingueva e separava gli apocalittici rispetto agli integrati, oggi la sintesi tra liquido, relativo e opinabile genera l’idea che schmittianamente il mare ha ricoperto la terra. E tutto Assume la mutevolezza dello scorrere o dell’ondeggiare dell’acqua.

Lo schema sembra quasi raffigurare una laguna, che potrebbe pure diventare arcipelago, in cui le istituzioni, i corpi intermedi (partiti, fondazioni, think thank) e la società sembrano barche ondeggianti, quasi gondole ondivaghe, incapaci di navigare stabilmente, facendo emergere in tutta la loro complessità la debolezza dell’interazione. Questo rende tutto più precario sia la navigazione a vista, che la meta da raggiungere.

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Qui il gondoliere con un solo remo non può apparire sereno e compassato, ma deve capire se prendere o meno il Canal Grande. Ossia quello di scegliere di dover navigare o meno per mare aperto. La metafora di questi momenti assale la mente per far capire quanto sia difficile qualunque tipo di previsione. Ci vuole tanto studio, tanta attenzione, tanto discernimento.

Quindi, fuor di metafora, dato che un gondoliere (Draghi) abbia già scelto di abbandonare il mezzo di navigazione perché non gli piacevano più i passeggeri che si erano a lui affidati, non significa che il viaggio sia da ritenersi concluso. Intanto perché la storia non vive di parentesi, ma di una continuità fluida nella quale immettere la vita degli italiani, i loro problemi, si da consentire alle professionalità di fornire sistemi tecnici e politici, attraverso cui trarre conclusioni plausibili, che abbiano quanto meno parvenza di soluzioni.

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Ecco che nessuno può arrogarsi risposte definitive oppure portare ad esecuzione ordini di chissà quale natura, laddove la complessità pretende cure certosine, prudenza abile e visione lungimirante. Lo scontro dei prossimi mesi sarà tra chi vuole fare della democrazia un feticcio vuoto e chi pretende che diventi un momento di partecipazione necessaria in cui tutti, dai cittadini così come i loro rappresentanti, possano assumersi responsabilità idonee a ricavare dal rischio, un’opportunità.

In questo quadro si contrappongono le oligarchie, a trazione PD, che innervano tutti i plessi di potere e tutti i gangli della gestione amministrativa e di controllo e coloro che pretendono una democrazia partecipata, in cui le ragioni delle intelligenze e delle professionalità possano confidare in una ricerca coscienziosa di soluzioni, di seria pianificazione e di esercizi di modernità. In questo contesto bisogna consegnare le armi a chi prova a sostenere l’idea che un’altra dimensione di contemporaneità sia possibile.

Che in una società fossilizzata sia possibile elaborare nuove regole che abbiano la forza di trasformare l’esistente attraverso aggiornati paradigmi, costituiti da ispirazioni necessarie fatte di solidarietà e comunità partecipi e consapevoli. Solo con uno Stato che assiste i bisogni sarà possibile educare al rispetto reciproco, alla sussidiarietà come valore, alla pulizia morale ed al decoro del vivere.

Senza queste proiezioni fattive e realizzative non vi sarà che la moltiplicazione dei conflitti tra nazioni, tra segmenti della società, tra interessi incompatibili, che rendono tutto più insicuro, più povero ed orientato al peggio. Su questi aspetti si dovrà misurare la classe dirigente di destra e di sinistra, andando oltre la destra e la sinistra. Ogni petulante critica fine a se stessa, senza logica e costrutto, pencola e ci conduce verso il fine corsa, fatto di qualunquismo, diserzione dalla discussione pubblica e debolezza piagnona e pilatesca. Ovvero capace solo di distribuire solo morte e macerie per le nuove generazioni.

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