Quegli otto giorni che separano Mario Draghi da Giuseppe Conte

Solo 8 giorni e poi Draghi avrà fatto peggio di Conte quando con il suo governo giallorosso presentò la legge di Bilancio oltre la metà di novembre

C’è un fantasma che si aggira nei Palazzi della politica: la legge di bilancio. Tutti la evocano, tutti ne parlano ma appunto come un fantasma nessuno al momento sembra essere stato in grado di vederla. Ormai siamo arrivati a una decina di giorni da quando fu approvata in Consiglio dei ministri e il premier Mario Draghi la presentò in una conferenza stampa. Ma in Parlamento ancora deve mettere piede.

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Le voci raccontano di un rallentamento dovuto ad alcuni passaggi delicati. Come sul reddito di cittadinanza dove la convivenza tra un aumento dei controlli e la sopravvivenza della misura stessa risulterebbe molto complicata. Così come sul superbonus, la proroga per le villette, sarebbe in atto un braccio di ferro tra le varie forze politiche in maggioranza.

E pensare che la prassi, e non solo quella, prevede che la legge di Bilancio arrivi verso la fine di ottobre così da consentire un esame serio ed approfondito di entrambe le Camere entro il 31 dicembre, data oltre la quale non si può andare pena l’avvio dell’esercizio provvisorio di bilancio.

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Ma per capire il ritardo accumulato basterebbe fare un raffronto con le annate passate. Ad esempio, l’ultima finanziaria della scorsa legislatura, quella del governo Gentiloni con Padoan come ministro dell’Economia, fu presentata il 29 ottobre in Senato ed approvata il 30 novembre. Alla Camera fu licenziata il 22 dicembre e il via libera definitivo fu il 23 dicembre. Quindi ben tre passaggi.

Tali furono anche per il primo governo Conte, quello gialloverde, con Giovanni Tria sulla poltrona del dicastero di via XX Novembre. Rispetto a Gentiloni soltanto due giorni di ritardo nella presentazione, ma stavolta alla Camera. Quindi il 31 ottobre il deposito negli uffici di Montecitorio, poi l’approvazione l’8 dicembre. Passaggio a Palazzo Madama per il via libera il 23 dicembre e alla Camera per l’ok finale il 30 dicembre.

Con Conte e Gualtieri la fine della navetta parlamentare

Peggio fece il governo giallorosso l’anno successivo sempre con Giuseppe Conte alla guida ma stavolta al ministero dell’Economia c’era Roberto Gualtieri, il neosindaco di Roma. Stavolta per la presentazione in Senato si arrivò al 2 novembre con via libera il 16 dicembre. Alla Camera, visto l’allungamento dei tempi di discussione e di approvazione a Palazzo Madama, non restò che dare una lettura veloce alla manovra ed approvarla poco prima del Natale, il 24 dicembre. Insomma, è con il governo giallorosso che finisce la navetta parlamentare per la legge di Bilancio. Un solo passaggio tra Camera e Senato con la seconda Aula parlamentare costretta soltanto a fare da spettatore.

Ma andò molto peggio l’anno successivo, quando addirittura per la manovra 2021 i deputati dovettero attendere il 18 novembre. Un tempo infinito che portò al via libera a Montecitorio a dopo Natale, il 27 dicembre, ed imponendo al Senato gli straordinari con un’approvazione finale il 30 dicembre. Un record negativo, anche se in favore di Conte c’è da dire che si trattava della prima finanziaria dopo lo scoppio della pandemia e in piena seconda ondata. Furono settimane molto difficile alle prese con nuovi lockdown e chiusure e quindi è comprensibile il ritardo.

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Insomma, guardando a quanto hanno fatto i governi precedenti quello di Draghi si candida ad essere tra i peggiori. Probabilmente non quanto fece Conte con la sua terza finanziaria, la seconda del governo giallorosso, ma molto vicino. I rumors, infatti, indicano come data fatidica per lo sbarco in Parlamento, per l’esattezza il Senato, mercoledì o giovedì. Quindi il 10 o l’11 novembre, in pratica sette/otto giorni prima del Conte Bis. Senza contare, però, che il testo che arriverà sarà per alcune parti completamente da scrivere.

Il taglio delle tasse in Mnovra

Infatti, nel corso della conferenza stampa Draghi fu molto chiaro che i 12 miliardi, anche se sulla carta sono solo 8 i miliardi, per il taglio delle tasse sarebbe stato deciso in Parlamento. Così come per la riforma delle pensioni la manovra 2022 avrebbe soltanto dettato le regole per un regime transitorio, lasciando al prossimo anno, e chissà se non a un nuovo governo, la vera e propria riforma. Per non parlare della proroga del superbonus per le villette, anche questo sarà deciso in Paramento. In pratica, quella che arriverà domani o dopo domani sarà una legge di Bilancio tutta da definire.

Della serie non solo arriva in ritardo, non solo il governo si è preso così tanto tempo per scriverla, ma è anche incompleta. E dire che con il varo del PNRR Draghi e Franco sarebbero dovuti partire avvantaggiati, nel senso di avere già uno schema, un quadro di fondo già definito su cui stendere la manovra. Invece, il dato è che questa legge di Bilancio arriverà con notevole ritardo, costringendo il Parlamento a un esame limitato e frettoloso, ma soprattutto toccherà soltanto ad un ramo discuterla e modificarla lasciando all’altro solo il compito di approvarla.

Un monocameralismo di fatto che fa storcere il naso a molti, sia a chi come Fratelli d’Italia è all’opposizione e sia a chi è in maggioranza. E questo perché poco tempo significa in generale margini ristretti per discutere e approvare emendamenti. Non proprio il massimo da un governo che dovrebbe essere dei migliori e che invece giorno dopo giorno si sta dimostrando non all’altezza.

Basterebbe anche vedere i ritardi nel varo delle riforme del PNRR, oppure alla stessa legge sulla Concorrenza che ha lasciato aperti, e perciò insoluti, tanti nodi. Ma il fatto che Mario Draghi goda di un consenso parlamentare pari al 90 per cento e di un appoggio incondizionato di stampa e tv gli consente di passare indenne questi passi falsi. Come nel caso di questa legge di Bilancio annunciata ma ancora mai vista.

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