L’annuncio della Super Lega dei ricchi del calcio fa dimenticare per un giorno il Covid

Dopo tantissimo tempo, talmente tanto che quasi non si ha memoria, non è il Covid a far notizia e ad aprire i telegiornali di mezza Europa. Basterebbe già questo per dire che siamo dinanzi a una di quella ‘notizie bomba’.

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Si tratta della nascita della Super League di Calcio. A beneficio dei non addetti ai lavori, e in particolare per chi non ha tanta dimestichezza con il calcio, è l’annuncio di 12 squadre di calcio (Juve, Milan, Inter, Real Madrid, Barcelona, Atletico Madrid, Liverpool, Chelsea, Tottenham, Manchester City e United, Arsenal) di costituire un proprio campionato con partite di andata e ritorno e relativa fase ad eliminazione diretta. Una sorta di campionato a cui parteciperanno fisse queste 12 squadre ed a cui potranno aggiungersene altre in base ai risultati sportivi, fino ad arrivare a un massimo di 15.

Quindi niente retrocessioni e promozioni ma un format prestabilito. Un progetto che se andasse a buon fine farebbe saltare tutto il sistema del calcio come finora conosciuto, producendo effetti paurosi a catena non soltanto sul piano sportivo ma anche su quello delle risorse. Basterebbe pensare quale potrebbe essere l’appeal in termini di pubblico e quindi anche di investimenti pubblicitari di una Champions League senza Real Madrid e Barcellona, oppure una Serie A senza Milan, Inter e Juve. Una catastrofe.

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Questo spiega perché in pochissime ore la notizia ha scalato le scalette conquistandosi le copertine dei telegiornali, le home dei siti di informazione e naturalmente quest’oggi le prime pagine dei giornali.

Un cambio epocale per il calcio e in particolare il suo cuore economico che evidentemente queste squadre vogliono gestire sempre più in autonomia e probabilmente in percentuali maggiori. Perché in fin dei conti tutta la questione gira attorno al ‘business’. Non sfugge, infatti, che quasi tutte e 12 le squadre protagoniste di questo scisma sono tra le più indebitate e che necessitano di una boccata importante di liquidità per evitare il tracollo. A partire da quelle di casa nostra come Juve e Inter, quest’ultima sul piede di una possibile nuova vendita. Ecco allora spiegato il perché di questa iniziativa.

Non è un mistero, inoltre, che dietro questo annuncio ci sia il gruppo JP Morgan, una delle più grandi banche d’affari, pronto ad investire grandissimi capitali nella Super League, e che proprio questi sono stati decisivi nel convincere le 12 squadre al grande passo. Si parla soltanto per iniziare di 3,5 miliardi di euro.

E non è un caso che l’annuncio della nascita della nuova Super Lega sia giunto proprio nel giorno in cui è stata varata la nuova formula della Champions League, dell’Europa League e della nuova competizione Europa Conference League, proprio per confermare che la rottura è avvenuta sul nuovo modello nel quale, evidentemente, le richieste dei grandi club non sono state recepite in maniera adeguata.

Quello che è certo è che adesso la parola passerà alle carte bollate. Non più i campi di calcio ma i tribunali diverranno il palcoscenico su cui si confronteranno le parti e questo perché sia l’Uefa e sia la Fifa hanno deciso subito di dare battaglia al progetto. Da un lato Infantino, il gran capo Fifa, e dall’altro Ceferin, presidente Uefa, hanno annunciato la linea dura che ha già portato all’annuncio dell’esclusione dalle semifinali di Champions League di Real Madrid, Chelsea e Manchester City. Anche se la decisione sarà presa il prossimo venerdì.

Ma le possibili sanzioni potrebbero colpire anche i giocatori, esclusi a loro volta dal circuito delle nazionali e quindi dalle  maggiori competizioni Uefa e Fifa come gli Europei, previsti per questo giugno, o i Mondiali. Insomma, dinanzi all’offensiva mortale delle grandi dodici il calcio mondiale ed europeo passa al contrattacco duro.

L’isolamento, però, dei ricchi club non è soltanto sul piano sportivo è anche su quello politico dove la levata di scudi è generale, a partire dal premier Mario Draghi il quale ha voluto rassicurare che «il Governo segue con attenzione il dibattito intorno progetto della Superlega calcio e sostiene con determinazione le posizioni delle autorità calcistiche italiane ed europee per preservare le competizioni nazionali, i valori meritocratici e la funzione sociale dello sport».

Il sottosegretario allo Sport, Valentina Vezzali confessa la sua preoccupazione «per le conseguenze che uno scontro istituzionale potrebbe portare alla filiera dello sport», chiarendo che «nemmeno di fronte agli interessi economici, possono venire meno i principi del merito, della sana competizione, della solidarietà così come i valori educativi dello sport».

Nella maggioranza pieno accordo tra Matteo Salvini ed Enrico Letta, negli ultimi tempi divisi quasi su tutto. Per il neo segretario del Pd «l’idea di una SuperLega per i più ricchi club europei di calcio? Sbagliata e decisamente intempestiva»; mentre il leader della Lega oltre a ribadire che «non mi piace l’idea di 12 super privilegiati che distribuiscono le briciole alle altre» conclude: «Il calcio italiano è anche Verona, Napoli, Bergamo, Roma, Firenze. No, non mi piace».

Ed anche nell’opposizione rappresentata da Giorgia Meloni si rigetta l’idea di una lega dei club più ricchi: «E figlio di una china presa dal nostro calcio che ha teso a privilegiare il profitto rispetto alla pratica sportiva», anche se non si nutrono molte speranze che la politica riesca a governare questa crisi: «La vicenda mi sembra stia scorrendo da sola e senza che ci sia capacità da parte della politica di farsi sentire e cercare alternative valide».

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Come detto spetterà ai tribunali dirimere la questione, ma è evidente che gli strascichi e le possibili soluzioni, se mai ce ne saranno, richiederanno pazienza e molto tempo.

Passando ad altro c’è subito il Covid. La grande attesa della settimana è per il Consiglio dei ministri che dovrà varare il nuovo decreto legge per le misure in vigore dal 26 aprile. Tutte le ipotesi portano a fissare per domani la convocazione del  CdM, mentre per oggi è prevista la riunione del Cts. Non dovrebbero esserci sorprese, nel senso che alla fine le misure saranno quelle annunciate in conferenza stampa dal premier venerdì scorso.

Sul piano parlamentare la giornata clou sarà giovedì con la votazione del Def e dello scostamento di bilancio. Un voto sul quale non c’è suspence vista l’ampia maggioranza di cui dispone Draghi. C’è però curiosità se alla fine si unirà al voto anche Fratelli d’Italia che in tutte le occasioni finora sullo scostamento non si è mai tirato indietro, decidendo soltanto una volta per l’astensione.

Giorgia Meloni al termine dell’incontro con il premier sul PNRR ha chiarito di essere «disponibile a votarlo purché mi si dica dove finiscono i soldi. Scostamenti di bilancio per la lotteria degli scontrini non ne voto. Lo voto volentieri ma le risorse devono essere messe nel sistema produttivo e l’abbiamo ribadito al presidente del Consiglio». Insomma, si vedrà giovedì.

Nel frattempo, però si guarda anche all’altro grande appuntamento della prossima settimana e cioè il voto parlamentare sulle comunicazioni del premier Draghi al PNRR, cioè il Recovery Plan. Oggi si concluderanno gli incontri a Palazzo Chigi con le delegazioni parlamentari. Ieri è stata la volta di Fratelli d’Italia e Italia Viva che, naturalmente, nei loro commenti hanno dato valutazioni contrastanti.

Matteo Renzi su twitter ha gongolato scrivendo che «Ottimo confronto a Palazzo Chigi con il Presidente Draghi, il Ministro Franco e la delegazione di Italia Viva. È davvero svolta su vaccini, Piano di rilancio, credibilità internazionale dell’Italia. Tutti insieme al lavoro per ripartire».

Di segno opposto il commento di Giorgia Meloni che all’uscita dell’incontro ha lamentato che «ad oggi noi non conosciamo il Piano nazionale di ripresa e resilienza del governo, il governo non ha ritenuto di illustrarlo», e lanciando l’allarme: «Il Pnrr deve essere presentato in Ue entro il 30 aprile, il presidente verrà in Aula il 26. Il rischio che il ruolo del Parlamento sia marginale e che non abbia il tempo di dire la propria sul piano è molto alto. È una cosa che non ci sentiamo di avallare».

Però riguardo il termine per la presentazione dei piani c’è un piccolo giallo. Infatti, ieri mattina due portavoce della Commissione Ue hanno spiegato che «la Commissione ritiene che la priorità sia la qualità dei piani, perché un’alta qualità faciliterebbe l’approvazione dei piani e il pagamento dei contributi finanziari dopo la valutazione del Consiglio». Insomma «come regola generale andrebbero presentati entro il 30 aprile, ma dobbiamo tenere a mente che i piani sono difficili da completare». Perciò «alcuni Paesi potrebbero avere bisogno di un po’ più di tempo» e quindi di «non sovrastimare la scadenza» perché appunto «se un piano viene presentato dopo ma fatto meglio sarà più facile e più veloce approvarlo».

Della serie, bravo chi ci capisce qualcosa. Da mesi l’Ue e in particolare il commissario Paolo Gentiloni hanno sollecitato a fare presto vista la scadenza di fine aprile, e adesso dalla Commissione giunge una sorta di frenata. In effetti, la spiegazione sta nel fatto che ancora una buona parte dei Paesi non hanno presentato il piano e ben 26 lo hanno fatto soltanto come bozza. Senza dimenticare che a fine aprile dovrebbe arrivare la sentenza della Corte costituzionale tedesca sul ricorso presentato proprio contro il Recovery Plan.

Ecco che allora la vaghezza e l’elasticità mostrata risponde più a una necessità di adeguarsi a un ritardo generale di tutti gli Stati europei, di cui potrebbe beneficiarne proprio l’Italia. Elasticità che però a sua volta rischia di far slittare l’erogazione dei fondi, che potrebbe essere non più a luglio ma addirittura a settembre. E vengono in mente le parole del premier Conte che solo un anno fa trionfante annunciò che le risorse sarebbero arrivate già in estate. E che da lì sarebbe ripartita la ricostruzione dell’Italia. Peccato che per allora non ci saranno né i soldi e nemmeno la ripartenza. E pure lo stesso Giuseppe Conte a Palazzo Chigi.

Setaro

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