Le Regioni pressano Draghi: mantenere la zona gialla e no a chiusure per tutto aprile. Ma Speranza frena

Anche nel giorno dell’incontro tra il premier Draghi e le Regioni, che ha sugellato la pace dopo le incomprensioni dei giorni scorsi, a tenere banco è il tema delle riaperture dopo le festività di Pasqua. A conferma di quanto la questione sia sempre più sentita e coinvolga non soltanto le forze politiche ma le stesse Regioni. E non solo quella a guida Lega. Tra l’altro era difficile immaginare che questo argomento non sarebbe stato al centro dell’incontro di ieri. Infatti, domani potrebbe riunirsi il CdM per il varo del decreto. Perciò meglio far sentire subito il fiato sul collo da Draghi.

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Le Regioni, però, sono le ultime in ordine di tempo a chiedere che non si escluda a priori la possibilità di iniziare ad aprire qualche settore già nel mese di aprile, evitando di continuare la serrata. La Lega con Matteo Salvini sono giorni, con toni variabili, a marcare stretto il governo. Anche ieri in video conferenza con i governatori leghisti l’ex ministro ha ribadito che «tenere tutto chiuso e fermo indipendentemente dai dati sanitari è impensabile».

Concetti che sono stati poi espressi dai governatori, non solo leghisti, nel corso della riunione con il governo a cui oltre al ministro Gelmini ha partecipato, come detto, anche il premier Draghi. A spiegarlo è stato lo stesso presidente della Regione Abruzzo, Marco Marsilio, il quale ha detto che «tutte le Regioni si sono espresse contro l’ipotesi di abolire la zona gialla per tutto il mese di aprile, come proposto dal ministro Speranza».

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Una misura «ingiusta e inspiegabile verso cittadini e aziende che hanno fatto sacrifici e rispettato le regole, e che ora giustamente pretendono di poter riprendere le attività dove il quadro epidemiologico lo consente», ha continuato Marsilio; chiarendo, inoltre, che «chiedere a bar e ristoranti di restare chiusi altre quattro settimane è eccessivo e sproporzionato. Il confronto con le Regioni proseguirà nelle prossime ore, spero che il Governo ci ascolti».

E Draghi? Il premier ha spiegato che «occorre ridare speranza al Paese, pensando a programmare e alle riaperture» e che «bisogna cominciare ad aver di nuovo il gusto del futuro» uscendo «da questa situazione di inattività. Sono certo che, tutti insieme, raggiungeremo qualunque obiettivo. Questa è la mia certezza, non è una speranza né un pronostico».

Insomma, una porta socchiusa che dalle parti della Lega hanno subito colto con soddisfazione, visto che le parole di Draghi rappresentano una «vittoria per il primo partito italiano, visto che vanno nella direzione auspicata da Matteo Salvini. Nessuna chiusura inesorabile per tutto aprile, come suggerito dal ministro Speranza, ma attenta e ragionevole valutazione dei dati per non penalizzare ulteriormente famiglie e imprese anche nelle zone meno colpite dal virus».

Ed a sera lo stesso Salvini al Tg2 chiarisce: «Siamo d’accordo con Draghi, che anche oggi ha ricordato che bisogna programmare le ripartenza dove le condizioni sanitarie siano sotto controllo, sia fondamentale ed è quello per cui stiamo lavorando».

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Una posizione che nel centrodestra di governo trova conforto anche nelle parole del ministro Mariastella Gelmini che dice: «Il testo del prossimo decreto Covid non è ancora pronto. Ma stiamo dicendo a tutti la stessa cosa: occorre dare ai cittadini una prospettiva di speranza. Allo stesso tempo questo non è il momento per dire ‘riapriamo tutto’. Fino al 15-20 aprile ci vorrà ancora molta attenzione, ma poi se i numeri migliorassero all’interno del dl servirebbe un automatismo per prevedere aperture mirate senza il bisogno di approvare un nuovo provvedimento».

Ma a frenare facili entusiasmi è il ministro della Salute, Roberto Speranza per il quale «ora va usata prudenza, sono i numeri dei decessi, del contagio e delle terapie intensive a imporci attenzione».

Per il responsabile della Salute «con 3.721 posti letto in terapia intensiva occupati non possiamo fare un passo troppo lungo. Le prossime settimane saranno decisive per le vaccinazioni e potremo così programmare l’estate e la graduale uscita dalle restrizioni sulla base delle evidenze scientifiche e dei dati del monitoraggio che sono e restano la nostra bussola». Insomma, rimane il confronto tra rigoristi e aperturisti che senza dubbio si ripresenterà in occasione del Consiglio dei ministri quando sarà convocato per il decreto.

Intanto, ad agitare le acque è anche la polemica sul via libera ai viaggi all’estero nel mentre permane il divieto di spostamento tra Regioni. Giorgia Meloni parla di «paradosso clamoroso» e chiede al governo di «di lavorare da subito per programmare la stagione estiva e far sapere a italiani e stranieri come prenotare in sicurezza le vacanze», segnando «una netta discontinuità con Conte: basta con i lockdown, le chiusure generalizzate e misure contrarie al buon senso».

Un vero e proprio controsenso che poi a tarda sera spinge il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, a chiarire: «Quello che noi abbiamo chiesto è rimanere a casa e non spostarsi, chi va all’estero e rientra deve fare un tampone all’andata e al ritorno, rientra nelle regole della mobilità europea. Ma non stiamo assolutamente consigliando ai cittadini di andare all’estero, anzi sconsigliamo di spostarsi perché siamo in una fase difficile».

Tutto comunque è rimandato a domani, anche se è possibile uno slittamento di un giorno proprio per cercare di trovare la quadra nella maggioranza ed individuare il giusto compromesso tra le esigenze delle varie anime della maggioranza. Il premier Draghi ha dimostrato di non avere un approccio ideologico sul tema e di essere consapevole che un segnale di discontinuità va dato, ma molto dipenderà anche dal Pd e dallo stesso M5S che, almeno per ora, sulla questione non si sono espressi.

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