Caro Pd stai sereno, prima o poi si voterà. Si può morire per Maastricht

I parametri di Maastricht? «Un bene prezioso», così li definiva Enrico Letta, nel lontano 1997, in un suo libricino, denso di castronerie europeiste, dal titolo ‘Euro sì. Morire per Maastricht’.

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Ne è passato di tempo e l’economia italiana è morta proprio per quei parametri europei che ne hanno soffocato lo sviluppo senza riuscire a fermare la crescita inarrestabile del debito pubblico. La realtà è oggi sotto gli occhi di tutti, forse persino dello stesso Letta che, chiamato a guidare il Pd, insiste col dire «l’Europa del 2020 è l’Europa che ci piace».

Proprio quell’Europa che finalmente ha preso atto che si stava morendo per colpa del bene prezioso dei parametri e li ha sospesi, ma non li ha cancellati. Proprio quell’Europa che ha gestito malissimo la crisi pandemica e che pensa al piano di rinascita per la prossima generazione europea (Next Generetion Eu) dimostrando di non sapere affrontare adeguatamente le emergenze sanitarie ed economiche del presente.

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Chi, meglio di Enrico Letta, potrebbe oggi fare il segretario del Pd? Non c’è europeista migliore di lui e s’inserisce perfettamente nella scia dei suoi “maestri”.

A cominciare da Andreatta, che da ministro del Tesoro, gli insegnò che con una semplice letterina si può separare il destino dell’Italia dalla sua Banca centrale per sganciarla, così, da ogni responsabilità verso gli italiani.

Letta proviene dalle stesse “scuole di pensiero” di Prodi, di Monti e di Draghi: Bilderberg, Trilaterale, Aspen ecc. Pensatoi nei quali ci si applica sul come mortificare la sovranità politica, soprattutto nella sua espressione popolare.

Da giovane ministro dell’Industria, aiutò Prodi a liquidare l’IRI ed a smantellare l’industria italiana per svenderla ai compagni di merende, preferibilmente francesi. Nello stesso momento, Mario Draghi si dava da fare, nella stessa direzione, dalla sua poltrona di Direttore generale del Tesoro.

Poi arrivò Monti per salvare l’Italia e tranquillizzare i mercati, i veri sovrani che Berlusconi non era riuscito ad accontentare e per questo fu defenestrato dopo una letterina a firma Draghi, governatore BCE entrante, e Trichet governatore uscente.
E fu pareggio di bilancio e Fiscal compact, altri beni preziosi che portarono con sé disastrose politiche di austerità e azzopparono ulteriormente l’economia italiana.

Al suo primo discorso, il nuovo premier Monti si vide consegnare, da un commesso, un pizzino di Letta con su scritto: «Mario, quando vuoi dimmi forme e modi con cui posso esserti utile dall’esterno… Per ora mi sembra tutto un miracolo! E allora i miracoli esistono!».

Il miracolo vero era stato quello di portare al governo il Pd che aveva perso le elezioni, un miracolo che si sarebbe ripetuto altre volte in futuro, il miracolo che stiamo vivendo oggi.

Nel 2013, laddove fallì Bersani, “vincitore” delle elezioni politiche, riuscì Enrico e divenne Presidente del Consiglio con l’aiuto di Berlusconi e le frattaglie democristiane disseminate nel parlamento.

Prima che lo pugnalasse Renzi il Rottamatore col suo infausto “Enrico stai sereno”, fece in tempo ad esaudire coloro che abitano nell’alto dei cieli della finanza.

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Con la riforma di Bankitalia, restando nel solco dei suoi maestri, portò il capitale sociale da 156 mila a 7,5 miliardi di euro: un salto prodigioso che fruttò ad alcuni azionisti un bel gruzzolo miliardario. A spese degli italiani.

Per fare il segretario del Pd in crisi esistenziale e correntizia, Enrico Letta è rientrato dalla Francia, dopo sette anni di tranquillità trascorsi da professore universitario, insignito della Legion d’Onore della Repubblica francese.

Si dice che lo abbiano chiamato in tanti, da Draghi allo stesso Mattarella, per porre fine alle guerre intestine del Pd e per consentire al governo una navigazione più tranquilla.

Da novello segretario eletto con voto plebiscitario, ha già individuato la priorità per eccellenza, quella che potrà salvare l’Italia: lo jus soli.

Il lupo perde il pelo ma non il vizio. Il Pd resta sempre uguale a sé stesso nella siderale distanza che lo separa dagli interessi reali della Nazione.

Intanto, il centrodestra governativo incassa il colpo, soprattutto Salvini, che mastica amaro con uno stizzito “parte male”. Ma ha ragione Letta nel dire: «questo è il nostro governo, è la Lega che deve spiegare perché lo vota».

Ed in realtà la Lega non sa spiegarlo e, se prova a farlo, lo spiega male e non riesce convincente.

Chissà se Salvini avrà capito che il Pd di Letta sarà la spalla del governo Draghi. Il nuovo segretario è l’uomo giusto per compattare non solo il suo partito, ma l’intero centrosinistra e gli sfollati del M5S, magari in vista di un ritorno al maggioritario di coalizione.

Inoltre, sa come vampirizzare definitivamente ciò che resta del partito di Berlusconi. Lo ha dimostrato durante la sua Presidenza del Consiglio, quando riuscì a portare dalla sua parte Angelino Alfano e un buon numero di parlamentari di Forza Italia che non ubbidirono al loro capo passato all’opposizione.

Prima o poi, la Lega sarà messa all’angolo e condannata all’irrilevanza numerica, politica e governativa. Salvini non sembra in grado di vedere il filo rosso che parte da lontano, dai “maestri” Andreatta, Prodi, Monti, Draghi, per arrivare all’allievo Letta, che si sono dati il compito di preparare un sempre più stringente e soffocante cappio europeo.

In attesa che arrivi il momento del confronto elettorale, che per ora al centrosinistra ed ai 5 Stelle fa più paura della pandemia, non ci resta che indirizzare al partito di Enrico Letta un messaggio augurale in salsa renziana: Caro Pd stai sereno, prima o poi si voterà.

Nuccio Carrara
Già deputato e sottosegretario
alle riforme istituzionali

Setaro

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