Tra Conte – Churchill, governatori-Bonaparte e scienziati galli (da pollaio), l’Italia è impazzita

di Mimmo Della Corte

Riti e miti della politica. Benito Mussolini amava che le luci nel suo ufficio a palazzo Venezia restassero sempre accese, perché gli italiani sapessero che lui, «capo del fascismo, non riposava mai». Da qualche tempo anche Giuseppe Conte, capo del governo demopentastellato, abbia scelto di seguirne l’esempio e dimostrare a tutti che anche lui «non riposa mai».

Da quando è cominciata l’emergenza epidemiologica ha deciso di dare appuntamenti al buio, una notte sì e l’altra pure, a quanti – magari per il panico da coronavirus che gli hanno suscitato – non riescono a prendere sonno e spiegargli i decreti, quelli adottati, ma preferibilmente quelli che intende adottare, contro il Coronavirus. Non lo fa, però, attraverso canali istituzionali ufficili, bensì con una diretta Facebook sulla pagina personale e senza giornalisti ad intervistarlo. E non perché le ore notturne non sono fatte per gli incontri con la stampa. Bensì, perché, si sa mai, potrebbero proporgli domande indiscrete e rompergli le scatole. Di notte, poi! Alla Grande Fratello: il bel tempo che fu… di Casalino.

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L’apparizione di Conte retorica e piena di luoghi comuni

Il top, in verità, lo ha toccato nella diretta del 21 marzo, laddove di concreto e comprensibile c’è stato ben poco. Per non dire – per carità di patria e rispetto dell’importantissimo ruolo istituzionale dell’interessato – assolutamente, nulla. La solita solenne esaltazione del proprio operato, i doverosi ringraziamenti a quelli che davvero sono in prima linea, nella «sfida che siamo chiamati ad affrontare», per la dedizione con la quale stanno provando a fronteggiare «la crisi più difficile che il Paese sta vivendo dal secondo dopoguerra». E non mancava neanche il rituale tocco di banalità dei luoghi comuni cui ricorre chi non sa, cosa dire. E, neanche perchè dovrebbe dirlo.

Sicché, per giustificare l’ennesima «decisione assunta (anzi, in itinere): chiudere nell’intero territorio nazionale, ogni attività produttiva che non sia strettamente necessaria, cruciale, indispensabile a garantirci beni e servizi essenziali». In poche parole, si chiude tutto, ma anche no. A proposito chi decide quali sono i beni ed i servizi essenziali. E per chi?

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Conte: «Rallentiamo il motore del Paese ma non lo fermiamo». Lo hanno proprio spento

In pratica, ha rinnovato l’elenco di quelli che continueranno a rimanere aperti – e, proprio perché già attivi, forse era anche superfluo ribadirli – poi è andato oltre per indicare chi dovrà chiudere. «Assicureremo ovviamente anche tutte le attività connesse, accessorie, funzionali a quelle consentite, a quelle essenziali», aggiungendo, poi, che «Al di fuori delle attività ritenute essenziali, consentiremo solo lo svolgimento di lavoro modalità smart working e consentiremo solo le attività produttive ritenute comunque rilevanti per la produzione nazionale». «Rallentiamo il motore produttivo del Paese, ma – ha proseguito – non lo fermiamo». Già, non lo fermano. Lo spengono del tutto.

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Detto, senza infingimenti, al cospetto, delle chiarificazioni e delle motivazioni dell’opportunità del da farsi e sul perché farlo, del nostro premier il mitico dubbio amletico: «essere o non essere, questo è il problema» è il trionfo della chiarezza. Purtroppo, l’ora notturna, qualche volta inficia la lucidità.

«L’emergenza sanitaria, ma lo avevamo previsto – ha detto – si sta tramutando in piena emergenza economica». Magari lo avevano davvero previsto, ma alla luce dei provvedimenti decisi finora, è difficilissimo rendersene conto. Continuiamo a navigare a luci spente, in piena tempesta e col timone rotto. «Infine – ha aggiunto – a voi tutti dico: lo Stato c’è. Lo Stato è qui«. Magari fosse così! La verità è che è a Bruxelles, per ricevere ordini da Merkel, Macron, Moscovici, Lagarde e Von der Leyen. «Che Dio ci aiuti!»

«Il Governo – ha detto, poi – interverrà con misure straordinarie che ci consentiranno di rialzare la testa e ripartire quanto prima». Già, signor presidente, proprio per questo, peggio mi sento! Mi auguro che queste misure siano più chiare delle sue affermazioni «social». Magari un’altra volta chieda consiglio – oltre che al suo consulente per l’informazione – anche a qualche giornalista vero. E, soprattutto, non siano, come quelle decise finora «inserite» in decreti leggi e, quindi, di immediata adozione, ma prive delle norme attuative e, di conseguenze, inapplicabili. Altrimenti, più che ripartire, finiremo completamente bloccati.

Poi è arrivato il decreto che «incide« sulla carta (straccia?) le parole del sabato notte ed il buio si è fatto ancora più impenetrabile. E se alla voglia – peraltro, ingiustificata – di protagonismo del Conte – Churchill, si aggiunge quella dei governatori-Bonaparte – soprattutto, quelli prossimi alle elezioni – diventa, addirittura, incomprensibile. E Mattarella tace. Anzi, scrive al collega tedesco per ringraziarlo. Ma di cosa?

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