Serve una cultura politica che affronti le paure e dia valore e spessore al bene comune

La tutela dell’ambiente e la surreale chiave di lettura di Giuliano Amato

Bisogna ripartire dalla cultura, che ispiri un’aggiornata sensibilità verso il bene comune: la vita, il tempo da impiegare, il destino delle nuove generazioni di fronte ai nuovi paradigmi che infondono una direzione di marcia proiettata verso nuove solidarietà.

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Intendo avviare la riflessione da una recente intervista di Giuliano Amato su “La Repubblica” del 6 settembre 2022, laddove il noto giurista, partendo dalla tutela dell’ambiente, fornisce una surreale chiave di lettura di questo contesto ovvero quello di sostenere la difesa dell’ambiente al fine di interpretare e declinare una sorta di anti-sovranismo. Ovviamente il tentativo sembra goffo e sgangherato perché non fornisce una motivazione di dettaglio per fissare una distinzione di valori e paradigmi che diano una forza visionaria e capace di tradursi in benessere diffuso.

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È goffo il messaggio del Presidente della Corte Costituzionale perché fa il verso, in modo sofisticato, a Greta Thunberg, che dopo aver lanciato il grido di allarme per l’ambiente ha messo in moto un meccanismo di revisione consumistica, che ha orientato i mercati verso beni di mercato che diano la percezione di una vita reinterpretata in termini di salute, benessere, qualità.

E per di più l’intellettuale e giurista socialista tenta in maniera sgangherata di prevedere una riforma che consenta in ambito internazionale una sorta di regolazione globale, in un momento in cui la globalizzazione dopo trent’anni di radicamento ha mostrato prima ampi margini di criticità, poi di evidente crisi, sí da generare l’attuale società in decomposizione.

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Due visioni contrapposte

In questo quadro si contrappongono due visioni. Una di Giuliano Amato, come rappresentato ed esposto, e una di Giulio Tremonti che mira a capire verso quale costruzione sociale s’intende lavorare ad esempio rivolgendo l’attenzione alla digitalizzazione globale, che in mano a colossi sfocia sul fronte dell’acquisizione dei dati a un sistema iper controllato e soprattutto forgiato all’insegna di una visione algoritmica. Da qui si deduce, quale effetto finale e decisivo, uno svuotamento della democrazia che rischia di consegnarsi in mano del dio denaro.

Qui il senso di realtà viene sostituito da una visione surreale che tramuta il tutto in una sorta di ribaltamento dei valori e di disgregazione delle coscienze che si convertono in una inconsistenza diffusa della dimensione umana che non possiede più la capacità di incidere nel dare equilibrio alle relazioni umane.

Vale a dire ad esempio in una trasmutazione tra rapporto di debito e capitale in cui la risorsa (capitale) diviene momento di controllo e soprattutto fattore di povertà perché si traduce e si afferma come una fase in cui il debito (personale ed imprenditoriale) diviene momento di controllo diffuso, che non consente agibilità sociale ed economica e si qualifica quale effetto-moltiplicatore di frustrazioni, capace di generare un periodo di grande disordine e di conflitti oggi nascosti che potranno diventare sempre più vistosi e pericolosi.

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